Marina Casini è intervenuta a presentare il libro (Ed. Sef) a nome anche degli altri autori: Carlo Casini presidente del Movimento per la Vita, e Maria Luisa Di Pietro, presidente Associazione Scienza e Vita.
Un tema, ha sottolineato che coinvolge aspetti giuridici e di giudizio culturale. “Perché questo punto di domanda? Abbiamo voluto cogliere il nodo cruciale del cosiddetto ‘diritto di autodeterminazione’. Quali sono i presupposti su cui si deve basare un’autentica libertà di scelta? È una scelta dei sani o dei malati? Solo dei pazienti? Che peso ha, ci si deve inoltre chiedere, la pressione sociale che spinge in modo occulto a considerare ad un certo punto la vita non più degna di essere vissuta?”
Gli autori sono partiti dall’analisi storica delle varie proposte sull’argomento che si sono succedute dalla metà degli anni ’90 ad oggi, così come di vicende che hanno avuto risonanza all’interno del nostro Paese, da Terry Schiavo a Piergiorgio Welby, trovando queste proposte e questi fatti come concatenati da una sorta di filo conduttore, Una riflessione utile, ha sottolineato Marina Casini, anche in vista della ripresa, in autunno, del dibattito sull’argomento.
“Occorre partire dal tema dei diritti umani, e della cosiddetta riflessione antropologica sui temi della libertà, della dignità dei malati, dell’eguaglianza del medico. Si può considerare un diritto quello di morire? Lo si può definire appartenente alla categoria del fare o a quella dell’essere? L’idea moderna relativa ai diritti umani, che si è fatta largo dal 1948 in poi, è che la dignità sia una parola ‘laicamente’ misteriosa, inerente all’essere umano in quanto tale. In questa inerenza sta il mistero di ciascuno di noi. Perché questo non deve valere per chi è stato appena concepito o è malato terminale? Ecco la sfida, che accoglie in pieno anche tutte le istanze della laicità, quando la ragione non viene piegata a esigenze utilitaristiche, ma si apre al mistero”.
Su materia così complessa da ogni punto di vista, e di forte impatto emotivo, ha infine aggiunto, c’è una domanda di fondo da porsi. “È proprio necessaria una legge sul testamento biologico? La risposta è no. Già ora chiunque ha disposizione strumenti notarili e di legge per comunicare la propria volontà .Un provvedimento in materia può essere pericoloso, se non inaccettabile, perché probabilmente introdurrebbe già logiche eutanasiche. La sofferenza che la modernità vuole in qualche modo eliminare non è soltanto la quella fisica. La sofferenza profonda, radicale, devastante, è la mancanza di senso della vitaa: vita come un danno, perché ritenuta non più degna di essere vissuta. Interrogarsi su vita e destino significa sentire dentro di noi, nonostante le fatiche e il logorio del corpo, questa presenza del senso della vita”.
M.T.
Rimini, 21 agosto 2007