Il punto e la linea. Storia e futuro della riforma costituzionale italiana

Press Meeting

Appuntamento di grande rilievo quello delle 11.15 in sala B3 per il tema del girono del dibattito politico, le prospettive di riforma costituzionale a cui saremo chiamati a dare risposta nel mese di novembre tramite lo strumento referendario. “Oggi vogliamo soprattutto porre domande”, ha sottolineato nella sua introduzione Andrea Simoncini, ordinario di diritto costituzionale all’Università di Firenze, “su compiti, responsabilità e destino del nostro Paese, come ha mostrato anche il fatto che il Meeting sia stato una delle poche manifestazioni culturali che ha voluto porre esplicitamente al centro il settantesimo anniversario della Repubblica, come casa comune creata dall’unità di culture diverse”, mentre sta crescendo a dismisura la convinzione che l’unico sistema sia “costruire tanti recinti, ciascuno per ogni differenza”.

Assente il ministro Maria Elena Boschi, rientrata a Roma per l’emergenza terremoto, è toccato a due relatori di grandissimo prestigio come Francesco Paolo Casavola, Presidente emerito della Corte Costituzionale e Sabino Cassese, Docente di “Global Governance” alla “School of Government” della Luiss di Roma, il compito di sviscerare l’argomento dai suoi presupposti storici a valutazioni di carattere tecnico sulla riforma proposta.

Perché cambiare la Costituzione, da dove nasce l’esigenza di una riforma?, ha quindi chiesto il moderatore ai due ospiti.

Casavola ha svolto un’ampia disamina storica dalla elitaria riforma albertina del 1848 all’impegno a cui furono democraticamente chiamati un secolo dopo i padri costituenti. “Il 2 giugno 1946 nacque finalmente il popolo italiano e i costituenti optarono infine per la scelta del bicameralismo, nel timore che una scelta monocamerale non mettesse al riparo dal dominio su di essa di una sola parte politica, una funzione chiamata esplicitamente ‘di raffreddamento’ legislativo. La Costituzione è stata di natura ‘pattizia’, come incontro delle culture cattolica, liberale e marxista”.

Da dove nasce allora la necessità di una riforma che consenta il passaggio dal cosiddetto “bicameralismo perfetto” a un “monocameralismo temperato”? si è quindi domandato Sabino Cassese. “Penso che le ragioni del bicameralismo siano da tempo superate e quindi non ci sia bisogno di due assemblee parlamentari che svolgono la medesima funzione. Monocameralismo temperato significa dare vita ad un piccolo Senato che partecipa ai processi di decisione esclusivamente per le materie che sono più rilevanti o che interessano comunque le Regioni, in un’impostazione più razionale e meno conflittuale del rapporto Stato-Regioni, così come non si può prescindere da un rafforzamento del controllo parlamentare da un lato sull’esecutivo e dall’altro dall’efficienza dell’esecutivo”.

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