IL NUOVO APPRENDISTATO PER SOSTENERE L’OCCUPAZIONE GIOVANILE

Press Meeting

È un relatore, Emmanuele Massagli, ma in assenza forzata del moderatore Francesco Riccardi, prende in mano in sua vece le redini dell’incontro in sala Mimosa B6, alle 19.00. Gli spunti comunque non mancano, a partire da alcune citazioni illustri tratte da questo Meeting. Dal “paese per vecchi” di Giorgio Vittadini a Napolitano e ad Elkann, tutte riguardanti, tra l’altro, il problema giovanile. “Nessuno conosce a priori le soluzioni – afferma – ma dobbiamo svolgere una sperimentazione pratica, che non si improvvisa”. Di certo uno strumento da sfruttare è “la recente riforma con le annesse potenzialità del nuovo contratto di apprendistato”.
Nella sua veste di componente della Segreteria tecnica del Ministro del lavoro, Massagli passa ad illustrare i sintesi la condizione giovanile sotto il profilo dell’ingresso nel mondo del lavoro: un milione 200mila giovani non vanno a scuola né lavorano, con quasi il 20% di abbandono scolastico. In questo contesto si colloca il testo unico sull’apprendistato, approvato a luglio dal Consiglio dei ministri, che sarà tra poco operativo. In soli sette articoli fornisce il quadro normativo della materia e “rilancia l’apprendistato di primo livello, tra i 15 e i 25 anni, equivalente al diploma statale triennale o quadriennale, affidando al lavoro una valenza educativa, formativa e culturale”. In ciò rompendo con la tendenza precedente, che sanciva una differenza tra conoscenze pratiche e teoriche propendendo per queste ultime. I giovani, le imprese e le regioni saranno gli attori della sua attuazione: “non un trucco di inserimento a costo agevolato ma un processo formativo”.
La parola passa a Cesare Fumagalli, segreterio generale di Confartigianato, che concorda sul valore principalmente culturale del nuovo contratto in cui si riconosce all’azienda la qualità di formatore. Ricorda poi che l’apprendistato, dal dopoguerra e per quarant’anni, è stato “il principale artefice del made in Italy e dei suoi 1500 prodotti leader. Aziende e scuola vanno riconnesse”. C’è il problema delle risorse economiche da affrontare insieme al sindacato. “Ma noi e la Cisl ci teniamo”. Sarebbe infatti assurdo non sfruttare questo meccanismo di inserimento nel lavoro quando nel Mezzogiorno è localizzata la metà di tutti i giovani disoccupati del paese, quando nell’anno scolastico in corso il 3% degli studenti si sposta dai professionali ai licei e quando in alcuni casi le aziende trovano solo la metà dei lavoratori che cercano.
È il turno di Gianni Rossoni, assessore al Lavoro e formazione della Regione Lombardia, che fa riferimento a esperienze consolidate: l’investimento di cento milioni l’anno in formazione professionale e un numero di giovani formati (40mila) confrontabile con quelli formati dallo Stato. In Lombardia “la sfida è stata raccolta da tempo, compresa la questione della certificazione delle competenze che è stata lasciata alle aziende tranne che per le certificazioni europee”. L’intervento poi andrebbe esteso su altri tre tavoli: tirocini, co.co.pro., partite Iva. Quanto all’apprendistato, nell’esperienza fatta “si è riusciti a portare le ore scolastiche da 900 a 400, riconoscendo come tali anche quelle dedicate all’apprendimento del mestiere”. Auspica inoltre che per mezzo dell’apprendistato si possano ottenere crediti formativi sia per la laurea di primo livello sia per la laurea specialistica.
“Il testo unico sull’apprendistato è, o almeno lo speriamo, una grandissima possibilità per trovare nuovi strumenti per affrontare e risolvere la crescente lacerazione tra scuola e lavoro – ha dal canto suo sottolineato Giorgio Santini, segretario confederale della Cisl – Sono stati fatti grandi passi per rendere fruibile lo strumento dell’apprendistato: la semplificazione delle eccessive complessità burocratiche, lo scioglimento dello scontro di competenze tra Stato e Regioni. Ma faremmo un enorme errore se considerassimo questa legge come autoapplicativa. Ha bisogno di un’attuazione ‘calda’ da parte dei protagonisti con il coinvolgimento delle parti sociali, delle espressioni bilaterali imprenditoriali e sindacali, delle agenzie del lavoro”. Due le sottolineature evidenziate da Santini: “Il primo livello, quello del diritto-dovere, dev’essere utilizzato in maniera decisa per vincere la dispersione scolastica; bisogna poi accendere un faro sulle professionalità che non si trovano per creare corsi professionalizzanti ad hoc”. Infine, per quanto riguarda l’applicazione dello strumento dell’apprendistato all’area dell’alta formazione, il sindacalista ha auspicato un’apertura al praticantato negli studi professionali.
Più critico l’intervento di Stefano Colli-Lanzi, vicepresidente di Assolavoro, l’associazione nazionale delle agenzie per il lavoro. “Prima di parlare di apprendistato, stiamo parlando di disoccupazione e inoccupazione e il tema del giovane che non è introdotto nel mondo del lavoro ci consegna un quadro di mancanza di solidarietà tra generazioni. Siamo sempre meno capaci di investire, siamo sempre più solo nella condizione di sfruttare il momento immediato. Per un’azienda investire vuol dire impegnare risorse ottenendo risultati in futuro. L’apprendistato è interessante se invece aiuta l’investimento: dell’azienda, di chi forma ma anche di chi apprende, che deve scommettere su se stesso”. “Mi permetto però un rilievo – continua Colli-Lanzi – com’è previsto ora, l’apprendistato è ancora troppo caro per incentivare un investimento formativo da parte delle aziende. Così assomiglia di più ad un inserimento agevolato più che a un intervento formativo. Inoltre, per un buon utilizzo delle (poche) risorse a disposizione sarebbe opportuno prevedere un soggetto terzo, come le agenzie per il lavoro, per un controllo di processo ed è necessario che venga allargata al massimo la possibilità di fornire l’apprendistato in somministrazione”. Infine, conclude, “perché nei dibattiti ci troviamo tutti d’accordo mentre abbiamo estrema difficoltà a prendere decisioni e procediamo con lentezza? Qui si gioca la responsabilità delle parti sociali di attuare immediatamente quello che già si può”.
“Ho scoperto cosa fare”. “Non sapevo di poter apprendere così facilmente”. “Mi fido di te”. Tre frasi estrapolate dal diario del tirocinio dei ragazzi di una classe del Liceo del lavoro, realizzato dalla Fondazione Cometa. Qui l’alternanza scuola/lavoro è già una realtà con un modello, replicato in Italia e all’estero, che prevede il trasferimento dell’intera classe – professori inclusi – in azienda per 16 settimane, con turni settimanali nei diversi reparti. “La nostra esperienza ci dice che il lavoro è un ambito di apprendimento, di formazione”, chiosa Alessandro Mele, direttore della fondazione. “Non è l’ultima spiaggia, ma una strada per la conoscenza. Con un’avvertenza: attenzione all’educazione e necessità di un rapporto: l’organizzazione è solo uno strumento”. E dietro l’angolo, c’è già un’altra sperimentazione concordata con la Regione Lombardia: l’acquisizione della qualifica triennale lavorando.

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