Il medico che verrà
Rimini, 24 agosto 2021 – Un confronto tra esperienze e speranze è quanto messo a tema nell’incontro “Il medico che verrà”. Introducendo gli ospiti, Felice Achilli, presidente Medicina e Persona, sottolinea come non si tratti di un incontro per soli addetti ai lavori: «Il lavoro, la vocazione del medico è parte integrante di una consapevolezza più diffusa della sofferenza come parte integrante della vita. E il Covid ci ha insegnato proprio questo».
Gabriele Tomasoni, primario Reparto di Rianimazione degli Spedali Civili di Brescia, in tal senso, comincia raccontando come abbia sempre ritenuto che il giocarsi in prima persona nelle occasioni che la vita offre sia un dovere che ciascuno ha per affermare ciò in cui crede. E continua: «Il Covid ci ha messo di fronte con urgenza immanente, qui ed ora, pretendendo una presenza umanamente significativa, prima ancora che professionale». Riprendendo le parole di san Benedetto, osserva come davvero l’eroico sia diventato normale, e il quotidiano eroico. E ciò è stato tale non tanto per l’esaltazione degli operatori nel momento clou dell’emergenza, quanto per il modo in cui la crisi ha riscattato la medicina da una routine ormai assuefatta e dimentica del malato. E conclude: «La pandemia ha giocato nell’umano. Il nostro compito presuppone un mandato, non solo un lavoro. Noi medici abbiamo a che fare con la vita, la conoscenza come risposta al bisogno di salute».
Donatella Parentini, medico di Medicina Generale ATS Val Padana, riprende quanto appena accennato sottolineando ancora come il Covid abbia solo enfatizzato un dramma che è implicito (e forse alle volte dimenticato) nel lavoro del medico. Cruciale nella sua esperienza di questi anni è stato il valore della domiciliarità: se “la prima carità al malato è la scienza” (Rastelli), serve però andare a prendere chi sta male lì dov’è, com’è, piegandosi alla realtà così come si presenta. «La fase iniziale della pandemia», ricorda «è stata segnata da un rincorrersi di tentativi, di protocolli; tutto per stare di fronte al malato. Un’esperienza drammatica, perché si è di fronte alla vita e alla morte, ma anche chiarificante, perché nitidamente orientata ad obiettivi di cura e di bene per la persona». Parentini conclude sottolineando l’importanza di un educazione permanente, di maestri a cui guardare, di compagni con cui intraprendere con docilità e realismo questa strada umana e professionale.
Pierluigi Strippoli, professore associato di Biologia applicata presso Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, si inserisce infine portando un contributo sul valore della ricerca come una dimensione della realtà medica. La memoria torna ad Enzo Piccinini e alla sua visione della professione sanitaria. Attingendo dalla storia della sua vita, in particolare, tre sono aspetti essenziali per il metodo di ricerca in un medico: «La cura del paziente come motore per avere nuove idee; l’ipotesi positiva nell’affrontare un problema alla ricerca di una soluzione; la facilità a chiedere, anche infrangendo tutte le barriere disciplinari». Tutto ciò da coordinate essenziali, rintracciabili nell’esperienza di tanti grandi carismi della medicina, da Pampuri a Moscati, da Lejeune allo stesso Piccinini. «La pretesa di neutralità nell’approccio scientifico attuale è una falsità, poiché la ragione umana è legata alla capacità affettiva. E in questo la ricerca rappresenta una posizione di domanda nel proprio lavoro che chiede attenzione ed educazione fin dai primi anni universitari».
(E.S.)