Situazione delle carceri e immigrazione sono gli argomenti sui quali il ministro della Giustizia Clemente Mastella, dalla tribuna del Meeting, ha lanciato due proposte: un patto fra istituzioni pubbliche e società civile per allargare a tutti i penitenziari italiani esperienze come quella del carcere di Padova, dove i detenuti hanno realizzato una cooperativa di lavoro; un Piano Marshall per l’Africa “per arginare questo esodo biblico senza un Mosè e dare stabilità politica a quel continente con la stessa preoccupazione con cui ci stiamo occupando del Libano”.
Mastella, insieme al senatore Andreotti, è intervenuto ad una tavola rotonda sul tema “Il lavoro nelle carceri”, alla quale hanno partecipato anche il giudice di sorveglianza presso il Tribunale di Padova, Giovanni Pavarin, Graziano Debellini, presidente Tivigest, e Nicola Boscoletto, presidente della cooperativa di carcerati “Giotto”. In sala, ai primi posti, con il direttore del carcere anche un gruppo di detenuti della “Giotto”.
I lavori sono stati aperti dalla proiezione di un video che ha raccontato la storia di questa cooperativa, nata nel 1991, che fino ad oggi è riuscita a dare un’occupazione ad oltre 200 ex detenuti (“secondo le pure leggi del mercato”, ha tenuto a precisare il presidente Boscoletto) e che attualmente ne occupa 70 nei suoi laboratori di pasticceria, di cartotecnica e di assemblaggio per la Roncato, nei call center della Asl patavina e nella cucina del penitenziario. “Un’esperienza del genere – ha commentato Boscoletto – ha portato al 5% il tasso di recidiva degli ex carcerati, che a livello nazionale sfiora l’80%”. Un’esperienza che, come ha spiegato Debellini, ha una sua genesi ben definita. “I giovani che hanno promosso la Cooperativa – ha spiegato il presidente della Tivigest – per la loro vita attingevano e attingono da una esperienza in cui i valori non sono una cosa astratta ma una realtà. Per questo possiamo dire che quest’opera nasce dalla carità del cuore di don Giussani”. Il fondatore di Cl ebbe a scrivere a questo proposito: “l’uomo capisce se stesso solo nell’azione, e quindi restare a lungo senza lavoro mette una persona nella condizione di non raccapezzarsi più, di perdersi umanamente e quindi più facilmente di tornare a delinquere”.
Il senatore Andreotti si è richiamato all’articolo 27 della Costituzione per ribadire la natura di recupero e riabilitazione della detenzione e ha ricordato la sua recente visita al carcere di Rebibbia per le celebrazioni, appunto della Costituzione. “Un giovane detenuto, con spiccato accento romanesco, mi ha chiesto cosa pensassi di loro: gli ho risposto che, secondo me, alcuni di loro erano lì dentro ingiustamente e che altrettanto ingiustamente tanta gente stava fuori.” Andreotti ha detto che insegnare un mestiere ai carcerati, fra i quali ci sono molti stranieri, è un cosa straordinaria.
Il giudice Pavarin, 10 anni fa, visitò un carcere e vide tanti individui sotto chiave e pensò che era come se in un ospedale ci fossero tanti ricoverati ma senza medici né infermieri. In carcere, secondo lui, non serve solo sorvegliare ma occorre rieducare, e a questo debbono essere chiamati tanto le guardie quanto gli educatori veri e propri. Pavarin ha poi parlato delle misure alternative (come la semilibertà) e dell’indulto, criticando l’emotività con cui la stampa enfatizza i casi limite (il detenuto in semilibertà che commette una rapina) e trascura la regola (gli altri 99 che la sera tornano dentro dopo aver lavorato). Secondo Pavarin bisogna tenere conto delle vittime, che possono sentirsi offese e danneggiate una volta in più da certi provvedimenti, ma “dove mancano recupero e rieducazione la pena viene meno al suo scopo”. “Bene ha fatto il ministro a proporre l’indulto – ha aggiunto il magistrato – perché ha fatto prevalere il senso di umanità davanti alle pur comprensibili preoccupazioni per il futuro”. Pavarin ha comunicato che fino ad oggi l’indulto ha fatto uscire 20 mila detenuti e “riportato le carceri ad una situazione fisiologica, che ci permette di riprendere razionalmente il governo della pena e dei penitenziari. Auguro al ministro – ha concluso – che possa ricondurre il carcere a quello che dovrebbe essere”.
Infine Mastella. Il ministro ha ripreso il discorso sull’indulto, ricordando che dei 20 mila scarcerati solo 230 sono tornati dentro. “Ma il bene non fa notizia – ha stigmatizzato – e così non si parla dei tanti bambini che erano nelle carceri con le loro madri detenute né dei call center che impiegano carcerati a Regina Coeli e, fra poco, anche a Poggioreale. L’indulto ed esperienze come quelle di Padova servono a ridare speranza”. Sull’indulto il ministro non ha ripensamenti: “sono convinto di quello che ho fatto perché era giusto farlo”.
Quanto all’immigrazione clandestina, ai disperati che prendono il mare verso l’Italia, Mastella ha detto di rifiutare soluzioni alla Zapatero (come i reticolati a Ceuta): il governo “non si accanirà contro gli immigrati ma contro coloro che li sfruttano”.