Il lavoro che verrà. Il PNRR per un mercato del lavoro europeo

Redazione Web

Il lavoro che verrà. Il PNRR per un mercato del lavoro europeo

Rimini, 24 agosto 2021 – La Fondazione per la Sussidiarietà, con il sostegno di Philip Morris Italia, Bayer SpA, in Sala Ravezzi, ha innescato una discussione con gli ospiti sulla possibilità che il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) possa creare un mercato del lavoro europeo. Hanno partecipato: Francesco Baroni, country manager Gi Group Italia; Roberto Garofoli, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; Pedro Silva Martins, professore di Economia Applicata alla Queen Mary University di Londra e ricercatore presso NovaSBE di Lisbona; Francesco Mutti, presidente Centromarca; Massimo Ferlini, coordinatore del dipartimento Lavoro della Fondazione per la Sussidiarietà. Hanno condotto: Massimo Bernardini ed Enrico Castelli.

«Mattarella nel suo intervento al Meeting ha parlato della necessità di una forte responsabilità comune nell’attuazione del PNRR, come si traduce questo concretamente»? Così Bernardini dà l’avvio alla discussione e risponde subito Garofoli: «Nella pandemia il 45% delle aziende italiane ha sospeso l’attività e il 70% ha fatto ricorso alla cassa integrazione. Oltre a questo ci sono settori che sono stati ancora più colpiti di altri. Quindi nei prossimi 5 anni dovremo fare un grande sforzo per attuare gli indirizzi del PNRR e per questo servirà definire nuove politiche attive del lavoro. Verrà richiesta la partecipazione di tutti, unità a tutti i livelli e in particolare dei livelli di governo e tra le autonomie territoriali».

Castelli chiede quanto impegno debba mettere un imprenditore in questo rilancio. Secondo Mutti, «prima bisogna realizzare quelle linee di intervento senza contare sui soldi del PNRR, che indica una direzione precisa: portare la nostra eccellenza all’estero, lavorare sull’etica in casa nostra eliminando la criminalità che impedisce all’imprenditore di investire in certe zone del Paese. Poi coi soldi del PNRR dobbiamo puntare sulla formazione, dare competitività al Sud e garantire la legalità». Gli fa eco Garofoli, che replica che la formazione è il punto chiave del PNRR, poi altre linee di intervento sono delle opportunità da cogliere, tra cui la condizionalità giovanile femminile da considerare nei bandi, che è una vera novità.

A questo punto Bernardini proietta un video con l’intervista alla vice sindaca di Madrid, che con sorpresa dice che il perno di tutti gli investimenti della città per la ripresa è stata l’occupazione. Silva Martins commenta: «Perché l’occupazione fa incontrare le persone e l’obiettivo della costruzione di una socialità è importante dopo l’esperienza della pandemia». Per Baroni «non sono le regole che creano il mercato del lavoro, ma la competizione. Il PNRR ha già deciso per tutti dove bisogna investire e noi italiani siamo fortunati perché questi soldi arrivano in un momento in cui il Paese è in crescita. Ma ricordiamoci che tanto lavoro c’è ancora da fare, perché è più facile dare soldi che motivare una persona».

In una video intervista il ministro dell’Istruzione polacco racconta che la Polonia ha cambiato la sua attrattività nel tempo per le imprese europee: oggi il costo della manodopera non è più così basso come una volta, si offrono servizi di gente qualificata dopo un percorso di grande crescita che è stato possibile grazie ai fondi europei. Questi fondi europei sono arrivati con delle regole precise di spesa, segno che l’Europa ha pensato fin da subito ad un modello di sviluppo sostenibile. «Questa intervista», dice Bernardini, «è un esempio di capacità di spesa». Garofoli replica: «Prima del PNRR eravamo già in ritardo sull’uso dei fondi precedenti a causa di un deficit delle nostre capacità amministrative dovuto ad un declino  tecnico prodotto da leggi che hanno bloccato il turn-over». Interviene Mutti: «La nostra macchina è usurata, è urgente la rivisitazione dell’intero sistema perché veniamo da vent’anni di stagnazione economica. Come? Creando terreno fertile per gli imprenditori. Un Paese deve avere una visione a dieci o cento anni».

Si affronta a questo punto il tema dei giovani che vanno all’estero a lavorare, con un grafico che mostra che dal 2018 il 41% dei giovani ha lasciato l’Italia. Castelli mostra quindi un video, in cui vengono intervistati vari giovani all’estero interrogati sulle motivazioni del loro trasferimento. Tra di esse ci sono: la passione per un preciso lavoro; la mancanza di lavoro; «relazione diretta tra merito e appoggio del professore nel mondo dell’università e della ricerca, diversamente dall’Italia». Ma, obietta Silva Martins, «andare a lavorare all’estero non è necessariamente un fatto negativo, è una mobilità di talenti che potrebbero tornare. Questa mobilità potrebbe essere contrastata dal lavoro remoto, che è una grande opportunità per il sud Europa».

Garofoli lancia una suggestione: «Il problema della attrattività è reale non solo per le imprese, ma anche per le pubbliche amministrazioni, dove forse è ancora più grave, perché la convinzione diffusa è che lì il merito conti poco». Fa eco Mutti: «Non può essere l’amor patrio il motivo di attrazione del giovane, ma deve essere un obiettivo chiaro e garantito». In sintesi, rilancia infine Bernardini, quali sono le ragioni possibili del rientro? Conclude riassumendo Ferlini: «È l’attrattività di sistema. L’Italia ha bisogno di più gente al lavoro, facendo diventare attrattivo il sistema. Oggi però abbiamo alcuni gap da colmare: il lavoro per le donne, aumentare la dignità dei contratti per i giovani, le condizioni di lavoro nel Mezzogiorno del Paese. Eliminando questi tre gap di sistema i giovani rientreranno e finalmente avremo le condizioni per tenerli con noi».

(A.L.)

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