Antonio Saladino, responsabile Dipartimento Mezzogiorno Fondazione per la Sussidiarietà, ha formulato in apertura la domanda generale di questo incontro: “com’è possibile garantire dignità a un lavoratore con forme contrattuali che garantiscano all’impresa competitività in un mercato globale?”
Roberto Maroni, deputato al Parlamento Italiano, ha documentato il lavoro svolto insieme a Marco Biagi per rendere il mercato del lavoro “più flessibile ma anche più inclusivo”: i suoi limiti sono infatti “la scarsa permeabilità e la rigidità”, che favoriscono, insieme al contenimento dei costi, la crescita del lavoro nero. “La ricetta formulata da Marco Biagi, centrata non sulla flessibilità ma sul concetto di occupabilità, si fonda su tre pilastri: definizione di nuovi contratti che facilitino l’inserimento sul mercato del lavoro; potenziamento dell’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro anche da parte di soggetti privati; attuazione di politiche di Life Long Learning che garantiscano una formazione continua.”
“La legge Biagi non è la causa dell’aumento del precariato, e flessibilità non è sinonimo di precarietà” ha commentato Raffaele Bonanni, segretario generale CISL. “La flessibilità è anzi necessaria”, ha aggiunto: “purtroppo in Italia chi è più flessibile viene pagato e tutelato di meno rispetto al lavoratore a tempo indeterminato, in termini di formazione, previdenza, maternità e cassa integrazione.” Bonanni ha quindi suggerito una serie di strumenti a sostegno dello sviluppo: “la lotta all’evasione fiscale, l’aumento dei contributi per gli atipici e una maggiore intesa tra sindacati e imprese. Le parti sociali, infatti, hanno il diritto e il dovere di normare tutto ciò che riguarda la vita delle aziende: il sindacato deve svegliarsi e non dire solo niet, ma la politica deve fare un passo indietro. Il suo compito è quello di fornire risorse e accompagnare il processo di accordo tra le parti, come dimostrato dal Ministro del Lavoro spagnolo”. Questa dinamica garantisce maggiore stabilità ed evita che ogni maggioranza di governo cambi radicalmente il lavoro svolto da quella precedente.
“Non è mia intenzione abolire la legge Biagi”, ha esordito il Ministro del Lavoro Cesare Damiano, precisando che manterrà tutto ciò che di utile il governo precedente ha sviluppato. “Che cosa non ha funzionato? Tra il 2001 e il 2005 il tasso di conversione da lavoro flessibile a stabile è diminuito; inoltre le persone che stanno nel lavoro flessibile ci stanno più lungo: questo è fonte di incertezza.” Damiano ha individuato nel DPEF due punti fondamentali per fronteggiare questa situazione: sgravi fiscali per le imprese solo se questi saranno legati ad un incentivo del lavoro indeterminato; aumento dei contributi e delle tutele sociali per il lavoro para subordinato.” Anche secondo Damiano la “buona flessibilità” va distinta dal precariato, inteso come applicazione di contratti a tempo determinato per far fronte al lavoro ordinario dell’impresa. Il Ministro ha poi illustrato l’emendamento che ha presentato al decreto Bersani contenente misure di prevenzione per affrontare anche l’emergenza delle morti sul lavoro.
Maroni ha ribattuto che “ci sono aspetti da migliorare ma l’Italia ha un sistema di sicurezza e protezione sociale buono” ed ha specificato che “l’incentivo ad assumere a tempo indeterminato rischia di ridare fiato al lavoro nero: infatti le imprese su questo punto non hanno solo un problema di costi, ma anche di eccessiva rigidità del sistema”.
Bonanni, ribadendo la necessità di risorse per lo sviluppo del mercato del lavoro italiano ha sostenuto che “tutte le provvidenze pubbliche devono essere sottomesse al buon comportamento contributivo e contrattuale”. Relativamente al problema del reinserimento lavorativo degli over 50 senza lavoro ha auspicato “l’istituzione di sconti fiscali per le aziende che riassumono over 50, come accade in Francia”.
Il Ministro Damiano ha concordato sul fatto che “non è la legge Biagi che ha incentivato la precarietà”, ma anche precisato che “non è vero che il mercato del lavoro in Italia è troppo rigido: le imprese italiane dispongono di forme contrattuali e strumenti di flessibilità, risalenti a ben prima della legge Biagi, che non hanno nulla da invidiare al resto dell’Europa”.
Il vero problema su cui condurre una “grande battaglia da parte di governo, sindacati e sistema delle imprese” è “l’idea per cui per garantire competitività sui mercati internazionali sia necessario il lavoro nero, sommerso e precario”.
Sulla questione degli appalti di opere e servizi Damiano ha sottolineato l’importanza che “chi sta a capo dei subappalti sia responsabile della fedeltà contributiva e retributiva di chi sta in fondo”.
Maroni ha espresso l’intenzione di “non demonizzare il contratto a progetto, se pur migliorabile, laddove ci siano le condizioni per utilizzarlo in modo appropriato” prendendo spunto dalla richiesta mossa da Damiano alle Poste di assumere a tempo indeterminato tutti gli operatori del suo call center.
Damiano ha concluso auspicandosi che “le nuove assunzioni di lavoro possano essere almeno al 51% con contratti a tempo indeterminato” e proponendo a Maroni di “lavorare insieme sui punti condivisi da entrambi”. Ha quindi ricordato che “la vera qualità dipende n on solo dalla tecnologia e dal processo produttivo ma soprattutto dalle risorse umane”.