Il Gran Muftì del Libano: «Contro la violenza non bastano parole. Non esiste uno stato islamico»

Press Meeting

«Credo che non sia sufficiente per i musulmani dichiarare di essere contro la violenza e il terrorismo. È necessario che ai più alti livelli si mostri come far convivere pacificamente cristiani e musulmani in libertà e rispetto reciproco». È quanto dichiarato in conferenza stampa al Meeting di Rimini da Mohammad Sammak, segretario generale del Comitato per il Dialogo islamo-cristiano in Libano.

«Andando ad analizzare i testi islamici, ci sono documenti religiosi importanti che mostrano come in realtà non abbiamo alcun legame con esso», ha poi aggiunto Sammak, sottolineando che ci sono tre punti particolari da considerare. Il primo è che «negli insegnamenti islamici non si parla mai né di una maggioranza né di una minoranza musulmana o cristiana, ma i gruppi sono considerati con una cittadinanza assolutamente uguale». Il secondo è che «nell’islam non c’è uno stato religioso. Questi terroristi affermano di voler costruire uno stato islamico, ma sono state prese chiaramente le distanze su queste affermazioni legate a Iraq e Siria e su questo concetto di stato religioso che nell’islam non esiste». Mentre l’ultima riguarda «la libertà religiosa, che Benedetto XVI ha definito come la corona di tutte le libertà. Come rispettarla? Il messaggio ci arriva direttamente da Dio. Io per poter professare la religione musulmana devo credere nella libertà dei cristiani di poter professare la loro: è il messaggio che tutti gli esponenti dell’islam devono lanciare e diffondere sempre più fortemente, non solo all’interno o all’esterno delle loro comunità, ma in tutto il mondo».

Il rabbino David Rosen, international director of Interreligious Affairs of the American Jewish Committee and director of AJC’s Heilbrunn Institute for International Interreligious Understanding, ha invece specificato che «il dialogo e la collaborazione interreligiosa sono imperativi imprescindibili, degli obblighi per ogni persona religiosa che sposi alcuni valori etici. Se credo nella santità della famiglia, dovrò collaborare con chi crede nello stesso valore, e lo stesso per il cambiamento climatico, la tutela dell’ambiente, la lotta contro la povertà. Se come ebreo non lavoro insieme ai fratelli cristiani e musulmani, significa che li tradisco. È attraverso l’incontro che posso scoprire la presenza divina al di là della tradizione alla quale appartengo». Ragionando sulle violenze terroristiche ha aggiunto che molte di esse «sono scaturite da un senso di alienazione» e «le società devono prendere misure per proteggersi e cercare di essere proattive, trasmettendo un senso di apprezzamento e valorizzazione degli individui, facendoli sentire membri della società e apprezzando e valorizzando la loro identità». In questo senso «il dialogo interreligioso è l’espressione autentica del senso di ospitalità della tradizione di Abramo».

S. Ecc. Mons. Silvano Maria Tomasi, nunzio apostolico, membro del Dicastero Servizio per lo Sviluppo Umano Integrale, ha affermato: «Se guardiamo al mondo di oggi vediamo tanta violenza, e pensiamo al fallimento del dialogo. Ma si è fatta molta strada. Nella tradizione cattolica dal Concilio Vaticano II si è sviluppata una teologia del dialogo, da Paolo VI con “Ecclesiam Suam” a papa Francesco con “Evangelii Gaudium”. Dobbiamo domandarci come mai questi giovani non hanno trovato nella cultura occidentale una risposta adeguata alle loro ispirazioni, finendo su una strada di estremismi per trovare qualcosa che giustifichi loro stessi o il loro senso della vita». Mentre «l’altra parte della medaglia» è che «per l’efficacia di un dialogo religioso autentico i leader culturali, religiosi, politici, sia islamici che di altre tradizioni religiose, devono essere chiari e senza ambiguità nel dare interpretazioni corrette, in modo da non giustificare alcun silenzio nei confronti del terrorismo».

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