Rimini, sabato 22 agosto – Nei mesi più duri della pandemia sono riemerse le tensioni nel rapporto Stato-Regioni, che vengono da lontano e che richiedono con urgenza una riflessione profonda. Un tema, quello del rapporto tra potere centrale e i poteri autonomi, che riguarda molti Stati nel mondo, ma in particolare quello italiano. Quale allora il futuro delle Regioni nel nostro Paese? Se n’è provato a parlare nell’ambito del convegno, in diretta televisiva su SkyTg24, “50 anni di Regioni: l’architettura dell’Italia alla prova”, organizzato in collaborazione con Gruppo Maggioli, Cassa Depositi e Prestiti, Promo Turismo FVG e SkyTg24 grazie al contributo della Regione Liguria, introdotto da Andrea Simoncini, vice presidente Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, e moderato da Fabio Vitale, giornalista di SkyTg24.
Ad avviare il dibattito, Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale e professore di Global Governance alla School of Government della LUISS Guido Carli: «Le Regioni fin dalla loro istituzione dovevano essere la salvezza dello Stato, ma negli ultimi 50 anni hanno avuto funzioni molto rallentate», ha spiegato Cassese. «Nelle strutture è avvenuta la presidenzializzazione delle Regioni. In questo periodo c’è però un calo della rappresentatività. Devono quindi oggi dimostrare di essere migliori della burocrazia dello Stato. Si pensava poi che fossero fattore di unione tra nord e sud, ma c’è ancora un forte divario. Le elezioni regionali non devono poi essere termometro di quelle nazionali».
«La pandemia ha dimostrato che se non ci fosse stato il contributo delle Regioni non si sarebbe potuta affrontare», ha proseguito Stefano Bonaccini, presidente Regione Emilia-Romagna. «Lo stesso varrà ora per il Recovery fund: senza il concorso di Regioni e Comuni il governo non potrà dare vita ad alcuna programmazione. Non tutte le regioni hanno poi dimostrato incapacità di spesa negli ultimi anni. Nella globalizzazione, infine, anche la grandezza di un territorio regionale può fare la differenza». «Le Regioni devono certo mettere in discussione sé stesse, ma oggi le risposte che riescono a dare sono migliori di quelle dello Stato centrale», ha in seguito affermato Massimiliano Fedriga, presidente Regione Friuli Venezia Giulia. «Abbiamo modificato assetti costituzionali fondamentali sulla scia del momento. Si parlava tanto di sprechi delle province, ma oggi si è capito che i livelli intermedi di governo sono fondamentali. E in questa pandemia hanno dimostrato la capacità di collaborare tra loro».
«La crisi degli ultimi anni si è fatta sentire anche sugli spazi autonomi», ha continuato Maurizio Fugatti, presidente Provincia Autonoma di Trento. «Un territorio come il nostro ha la vocazione ad avere maggiori spazi di autonomia». «Io credo che la costituzione materiale del paese in questi mesi sia già un po’ cambiata, anche per la qualità delle Regioni», ha detto Giovanni Toti, presidente Regione Liguria. «Le Regioni in questi anni hanno saputo produrre una classe dirigente qualitativamente migliore, grazie alle regole elettorali. Le burocrazie nazionali hanno fatto cadere il ponte Morandi, quelle regionali lo hanno ricostruito, perché il sistema regionale è più efficiente. Serve gigantesca autonomia ai territori, perché così si sviluppano le specificità e tutto il Paese ne trarrà giovamento». «La storia d’Italia è quella dell’ufficio complicazioni affari semplici, io resto dell’idea che l’autonomia sia l’unica via d’uscita. È un’assunzione di responsabilità», ha concluso Luca Zaia, presidente Regione Veneto. «Noi crediamo che l’autonomia sia un processo inesorabile. Don Sturzo, siciliano, ne parlava nel ’49. Il coronavirus ha dimostrato che l’autonomia nella sanità permette di essere performanti. L’autonomia sarà il nostro Muro di Berlino, e darà nuova vita a questo Paese. Se qualcuno non l’ha capito, lo capirà».
(F. G.)