“Dall’indizio al senso, cioè fino al punto che ci fa andare oltre il già saputo senza perdere il contatto con la realtà, come ci ha invitato a fare papa Francesco”. Così Marco Bersanelli, docente di astrofisica dell’Università di Milano, introduce il tema dell’incontro sul metodo e sul significato della ricerca scientifica che si è svolto nell’Auditorium Intesa San Paolo D5. Bersanelli ha poi presentato gli scienziati convenuti: Christopher Impey, vicedirettore del dipartimento di astronomia dell’Università dell’Arizona e autore di circa 170 volumi; Yves Coppens, paleontologo francese e professore onorario del Collegio di Francia, che detiene il record mondiale per aver scoperto tre nuovi generi e sei nuove specie, e Laurent Lafforgue, professore all’Istituto di alti studi scientifici di Francia.
Impey rileva subito che “ciascuno è nato scienziato, ogni bambino nasce con una certa curiosità. Tuttavia è necessario elaborare un linguaggio comune capace di interessare e coinvolgere tutti alla scienza”. Anche Coppens, al quale Bersanelli chiede di raccontare la sua esperienza di paleo-antropologia, sottolinea che “quando si è giovani si ha voglia di scoprire, ma la mia motivazione è cambiata nel corso degli anni. Comunque rimango attaccato all’oggetto della mia ricerca, al frammento di osso, al pezzetto di vasellame e a tutte le informazioni che da essi è possibile ricavare sul contesto sociale, sull’età del reperto per ricostruire un sistema più generale”. Lafforgue da parte sua afferma di condividere l’ipotesi di Bersanelli che accostava la matematica al bene, nel senso che anche la ricerca matematica è mossa sostanzialmente dalla ricerca del bene. Come Coppens, anche il matematico francese ritiene necessario ritornare all’oggetto. Nel caso della matematica “si tratta di oggetti immateriali, ma dotati di un carattere obiettivo e che si impongono a noi, ma non dipendono da noi”. Lafforgue continua su questa strada dichiarando che “la comprensione avviene all’improvviso e consiste nel ricevere una verità indipendente e riconoscerla. Nessuna disciplina scientifica sembra più povera della matematica, eppure essa ha una ricchezza infinita”.
Bersanelli invita a questo punto i relatori a pronunciarsi sulla seconda parte del titolo del Meeting, cioè che “il destino non ha lasciato solo l’uomo”. Dinanzi alle conquiste dell’astrofisica contemporanea, Impey afferma che “la natura è complessa, non lineare e non deterministica. Eppure ciascuna affermazione scientifica sfida l’idea che viviamo in un mondo che non ha senso. Abbiamo un’opportunità che è un obbligo; pensare alla nostra posizione nel cosmo è una prerogativa peculiare dell’essere umano”. Coppens, dopo aver tratteggiato in poche battute l’origine dell’universo fino alla comparsa dei primi ominidi, si dichiara d’accordo con Impey: “Quello che noi pensiamo di poter comprendere non sarà tutto, ma lo dobbiamo spiegare. Ed è sempre un grande piacere”. Lafforgue invece ironizza sul proprio lavoro scientifico: “Lavorare sul programma di Langlands – il campo di ricerca che gli è valso il premio Fields – significa trovarsi alla periferia della periferia dell’ultima periferia!” Nel rispondere alla provocazione di Bersanelli, anch’egli rileva che “la realtà più la conosciamo, più ci appare ricca. Il progresso scientifico stesso smentisce il sogno che l’uomo possa conoscere tutto”.
Con un’ulteriore battuta Lafforgue afferma che nemmeno due matematici possono capirsi, a causa dell’eccessiva specializzazione dei saperi. Dunque “tutte le nostre esperienze, le persone che conosciamo, le conoscenze che abbiamo sono periferiche e non sono sufficienti a riempirci”. Tuttavia “la periferia indica una mancanza, cioè la nostalgia di un centro che noi portiamo dentro. Noi vogliamo un centro e portiamo la speranza che il destino non ha lasciato solo l’uomo. Il fatto che siamo in grado di investigare con la nostra creatività tutta la ricchezza della realtà è un segno che sostiene tale speranza”.
Per questo motivo Bersanelli, ricordando che “la periferia è un punto di incontro con la ricchezza inesauribile della realtà”, cita in conclusione Dostoevskij: “L’immenso e l’infinito è altrettanto indispensabile all’uomo come quel piccolo pianeta che egli abita”.
(A.C., F.Pi.)