La Nigeria si può salvare solo sostenendo “un autentico dialogo fra cristiani e musulmani, pregando e cercando le ragioni profonde che provocano le violenze”. È quanto ha affermato monsignor Ignatius Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, all’incontro dal titolo “Il martirio della Nigeria: abbiamo bisogno del miracolo di Dio”. L’evento si è tenuto questa mattina alle 12,30 nell’Auditorium B7 ed è stato introdotto da Davide Perillo, direttore di Tracce.
Davanti a una folla di centinaia di persone, monsignor Kaigama ha raccontato la sua esperienza di vescovo e cristiano e il suo lavoro per riconciliare la popolazione nella Nigeria colpita dai devastanti attacchi degli estremisti islamici di Boko Haram, che dal 2009 tentano di spazzare via i cristiani dal nord del Paese. A tutt’oggi oltre mille persone, cattolici, protestanti e musulmani, sono morti in attentati kamikaze contro chiese, moschee ed edifici pubblici. Secondo il prelato il conflitto religioso fomentato dal movimento islamista “genera rappresaglie fra la popolazione anche in zone non direttamente colpite dagli attacchi. Il rischio è quello di una vera e propria guerra”, fra il nord del Paese (a maggioranza musulmana) e il sud (a maggioranza cristiana) e la distruzione della Nigeria. “Un giorno – ha affermato monsignor Kaigama – una signora mi ha domandato perché gli esseri umani non riescono a godere della diversità. Perché una persona gode nel far soffrire gli altri, perché una religione, un gruppo etnico, emargina e demonizza e scatena violenze terribili contro persone innocenti?”. “Con lo stesso smarrimento – ha continuato – io guardo alla campagna aggressiva condotta dal Ahlis Jama’atu Sunnah Wal Jihad Lidda’awati, noto ora come Boko Haram che ha giurato che: i cristiani non conosceranno la pace finché non accetteranno l’islam”.
Il prelato ha sottolineato che in molti stati del nord governati dai musulmani “i cristiani non hanno diritto alla terra, le chiese spesso non ricevono i permessi di costruzione, i media cristiani sono oscurati e nelle scuole si insegna solo la religione islamica e non quella cristiana”. A ciò si aggiunge la reticenza delle autorità ad indagare sui politici che sfruttano Boko Haram per creare il caos e guadagnare potere politico ed economico. Tuttavia occorre guardare con stupore ai cristiani e musulmani che riescono a vivere in pace fra loro: “Nel sud del Paese, ma anche nel nord all’interno di una stessa famiglia si possono trovare fedeli di entrambe le religioni. Vi sono anche molti casi di matrimoni misti”. Ma le violenze di Boko Haram stanno distruggendo questa armonia che un tempo caratterizzava tutto il Paese.
Per monsignor Kaigama la vera sfida è testimoniare il messaggio di Cristo in una situazione dove anche gli stessi cristiani, fra cui anche molti prelati, vogliono reagire e imbracciare le armi e difendersi, perché stanchi e frustrati da questo clima di tensione. Un esempio è stata la reazione dei giovani dopo l’attentato alla chiesa di San Finbar dell’11 marzo scorso costato 15 morti. L’edificio era stato da poco ristrutturato e ampliato. “Quando sono arrivato sul posto, tutto era distrutto. I giovani erano arrabbiati e tristi e mi chiedevano di fare qualcosa, anzi alcuni mi accusavano per il mio rapporto di amicizia con i musulmani e volevano imbracciare le armi. Mi sono voltato e inginocchiandomi ho guardato le immagini sacre. Improvvisamente i ragazzi hanno fatto silenzio. Gli ho detto di tornare a casa e di non far prevalere nei loro animi la rabbia e l’odio”. Tuttavia spesso è difficile spiegare perché non si deve reagire. “Io – ha aggiunto – a volte mi sento solo di fronte a questa situazione, che toglie l’appetito. Ma anche se sono solo, la grazia di Dio è sempre con me. Io sono amico dei musulmani perché solo l’amicizia guarisce tutte queste terribili ferite”.
Il presule ha infine citato alcuni esempi che danno speranza ai giovani afflitti da povertà, disoccupazione e dall’odio interreligioso. Il 16 agosto alcuni musulmani della moschea di Jos hanno invitato i cristiani ad unirsi a loro nella celebrazione dell’iftar, la cena che segue la giornata di digiuno durante il Ramadan. Un’altra iniziativa sono i corsi di formazione al lavoro per ragazzi di entrambe le fedi organizzati dalla diocesi di Jos. Quest’anno il progetto ha portato al diploma ventidue studenti. Saranno i primi a lavorare come agenti di pace fra la popolazione colpita dalla violenze degli estremisti e dall’odio interreligioso.
(S.C.)
Rimini, 19 agosto 2012