Io sono tu che mi fai
Rimini, 21 agosto 2021 – Bernhard Scholz, presidente Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, ha introdotto l’incontro con Javier Prades, rettore Università San Damaso di Madrid, ricordando che «tutti noi sappiamo bene che nella mancanza di realismo si annidano le ideologie e le mode culturali. Oggi spesso non si ha più il coraggio di dire “io” perché non si sa più cosa significhi. Il titolo del Meeting di quest’anno è un invito a riscoprire la profondità del nostro io».
Prades ha spiegato che il titolo del Meeting riprende una frase dei diari di Kierkegaard, il quale, interrogandosi circa il modo di comunicare la verità, è giunto a criticare il pensiero esclusivamente idealista e razionale, perché in ultima analisi fa perdere di vista la realtà. Kierkegaard aveva capito che la sola speculazione intellettuale astratta non è sufficiente, ma, per comprendere appieno la realtà, e possederne l’intrinseca verità, occorre che la persona si metta in gioco.
Il fallimento delle ideologie e dei sistemi elaborati nell’ ’800 e nel ’900 – ha illustrato il relatore – ha lasciato dietro di sè un vuoto che l’individuo ha cercato di riempire dilatando il proprio diritto a autorealizzarsi: ma ciò non ha fatto che ingigantire la sensazione di solitudine delle persone. Pirandello lo aveva già capito quando scrisse “Uno, nessuno e centomila”: «Il protagonista del testo, Vitangelo Moscarda, entra in crisi nel rapporto con moglie e con gli altri perché capisce che essi lo percepiscono in modo diverso da come lui percepisce se stesso; da ciò, trae la tremenda conclusione di non saper più chi egli stesso sia e che, in definitiva, la sua individualità si disperde. Questo senso di solitudine riappare in numerose manifestazioni della cultura popolare attuale, dalle canzoni dei Queen, ai personaggi di Nomadland (Oscar 2021), laddove l’espansione dell’io impedisce una completa esplicazione della persona».
Prades ha proposto all’uditorio l’ascolto di una canzone, intitolata “Il mio volto”, scritta da Adriana Mascagni quando era una giovane ragazza di Gs: «Quanti elementi», ha osservato Prades, «in questo canto eccezionale, incontrano l’esperienza di tante persone che abbiamo visto nei citati esempi di cultura contemporanea. Questa ragazza aveva percepito ciò che molti grandi pensatori hanno spiegato». Prades ha citato, al riguardo, Edith Stein e la sua considerazione che il nostro essere, necessariamente fugace, trova la sua forza dall’essere sostenuto; e Urs von Balthasar, secondo il quale la strada dell’uomo, per il raggiungimento della pienezza di sè, è il consegnarsi ad un altro.
«Questa coscienza», ha ricordato il rettore, «proviene dalla cultura ebraica confluita nel cristianesimo: per poter dire “io” serve un “tu” e questa individualità è generata da Dio, cui affidarsi come ha fatto Abramo all’inizio dei tempi, generando così la nascita delI’io. Quindi la modalità storica con cui Dio interviene inizia con la chiamata di Abramo e la figura nella storia dove risplende la piena affermazione dell’ io è Gesu. Gesù», ha continuato, «oppone il suo io alle leggi di Israele, chiarendo tuttavia che non fa nulla da sè, ma solo perché così vuole il Padre, Dio. Coloro che si sono avvicinati a Gesù sono divenuti come Lui figli: sono figli nel Figlio ed hanno quindi acquisito una autocoscienza e libertà che li ha resi protagonisti oltre ogni immaginazione. Ecco dunque che la consapevolezza che il nostro essere scaturisce dall’amor di Dio, genera la coscienza di dover rispondere a questo amore, e questo è l’origine della nostra responsabilità».
Si comprende, quindi, come l’alternativa alla solitudine non sia un sentimento narcisistico, ma la risposta alla chiamata di un Altro. Prades ricorda l’amico Azurmendi, recentemente scomparso, che aveva capito che oggi la persona, credendo di essere completamente padrona di se stessa, si impedisce di trovare un baricentro stabile. Infine Prades affronta il tema del coraggio, e lo fa citando il manzoniano Don Abbondio: «È vero che il coraggio uno non può darselo da sè, ma Giussani ha chiarito che il coraggio può nascere muovendo da una simpatia, da un incontro, come fu per gli apostoli che si sono legati a Gesù. Abramo ha fatto nascere il popolo ebreo, il sì di Pietro a Gesù ha fatto nascere il popolo cristiano. La pienezza dell’umano», secondo Prades, «è coincidenza di pensiero ed azione, che si gioca attraverso la libertà, e la strada che genera l’io è fatta di ragione, giudizio, affezione e libertà».
(C.C.)