COME AFFRONTARE LA RIVOLUZIONE E LA CRISI NEL MONDO DELLA INFORMAZIONE
Rimini, 23 agosto – «Noi controlleremo il tuo futuro», fa dire una deepfake a Mark Zuckerberg in un video proiettato nella Sala Neri UnipolSai questa sera all’inizio dell’incontro “Vero o falso? l’informazione nell’epoca del fake”. Davide Perillo, direttore della rivista Tracce, ha spiegato: «Si tratta dell’ultima frontiera delle fake news, che come sappiamo sono sempre esistite, ma che in quest’epoca stanno assumendo un carattere di pervasività importante. A cui non siamo abituati». Il direttore è poi passato a presentare i due ospiti con i quali ha intrattenuto una piacevole discussione sull’argomento: Massimo Gaggi, editorialista de Il Corriere della Sera negli Stati Uniti e autore di “Homo premium”, e Walter Quattrociocchi, head of the Laboratory of Data Science and Complexity all’Università di Venezia.
Quattrociocchi ha tentato di spiegare la situazione attuale: «Le fake news hanno preso così piede perché nell’ultimo ventennio siamo passati da una situazione in cui l’informazione era mediata dai giornalisti, che definivano l’importanza delle notizie e poi le diffondevano, ad una situazione in cui sono tutti fruitori. C’è stato un appiattimento importante in cui il livello si è stratificato, ora non vale più l’importanza della notizia, ma il numero di like. Da un noto studio è emerso che il 60% della popolazione che utilizza i social media li usa anche per informarsi. Conseguentemente il giornalismo è stato costretto a cambiare modo di divulgazione, tendendo a prediligere un livello di intrattenimento, una narrazione efficace. È facile comprendere come questo sia un terreno fertile per le fake news». Tanto più se consideriamo che le persone tendono a cercare nella rete conferme alla loro visione del mondo. È sotto gli occhi di tutti la presenza in rete di vere e proprie tribù di pensiero, gruppi in cui si argomenta a favore di ipotesi varie e talvolta fantasiose. Chi le confuta, anche opponendo argomentazioni scientifiche, è attaccato ed espulso. Ne è un esempio potentissimo il filone no vax. Un fenomeno di accesso diretto e di pregiudizio di conferma, quindi.
Massimo Gaggi ha rinforzato questa tesi affermando: «Quella del collega è un’analisi moto dolorosa, ritengo che qualche responsabilità ce l’abbia anche l’editoria giornalistica, che in passato può aver commesso degli errori. Ma ciò che è accaduto dopo è stato un fenomeno che è andato al di là delle aspettative: pensavamo che i social media sarebbero diventati dei conduttori, invece si sono impossessati dei nostri contenuti, mandando drammaticamente in crisi il mondo dell’informazione.»
Quattrociocchi ha rinforzato il tema: «Attualmente sono cambiati i parametri dell’informazione. Assistiamo ad una crisi dell’autorità, in qualunque campo. La rete ci dà la sensazione di avere in mano uno strumento di conoscenza. Invece abbiamo la possibilità di avere tanta informazione, ma non significa che questo porti a maggiore conoscenza. È andata in crisi la fiducia verso l’esperto. In qualunque momento tu puoi verificare se quello che ti dice è vero o no. Si tratta di un fenomeno globale di crisi di fiducia».
Come se ne esce? Quattrociocchi ha assicurato: «Bisogna riconquistare la fiducia tra esseri umani, riconoscere il ruolo dirimente dell’esperto che comunque ci permette di avere informazioni senza dover rifare tutti i passaggi». Walter Gaggi ha aggiunto: «Mi chiedo se in questa situazione non ci sia anche il contributo di leader populisti a livello mondiale, i quali usano la rete proprio in questo senso. Esistono materiali costruiti ad hoc contro minoranze etniche che vengono diffusi con molta facilità anche da questi leader». Quattrociocchi ha però sottolineato: «I social, la rete, non sono il male. Penso a quanto accaduto ad Hong Kong durante la rivoluzione degli ombrelli. I giovani rivoluzionari, per comunicare con il mondo, hanno potuto utilizzare i social non controllati dal regime. In questo senso si tratta anche di uno strumento positivo. Con le nuove generazioni, stiamo vivendo un cambiamento di format», ha aggiunto, «alcune cose non siamo in grado di capirle, ma possiamo fare un lavoro educativo per renderli fruitori attivi e consapevoli. Anzi forse lo sono già, certamente più di noi». Il professore ha poi concluso: «Ritengo che l’accademia oltre a fare ricerca, debba uscire dalla propria torre d’avorio e fare i conti di più con la vita reale: deve far conoscere ciò che sa incontrando le persone. Il sistema di informazione potrà così essere condiviso con equilibrio di orizzontalità. Solo così l’esperto potrà recuperare la propria autorità».
(M.G.D.A.)
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