“In una situazione in cui l’unicità dell’identità è considerata una falsa promessa dobbiamo accontentarci di essere un Io che sceglie l’identità che meglio risponde alle circostanze della vita?”. Con questa sfida ha introdotto l’incontro mons. Lorenzo Albacete, teologo ed editorialista del New York Times Magazine e di New Republic.
Mons. Francesco Follo, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO, ha tracciato la descrizione di una modernità in balia di una crisi del soggetto, per cui “il presente è la stagione del frammento e della molteplicità dei punti di vista” e “l’oggi è un dopo, una storia vecchia che si ottunde e distorce”. Descrivendo il proprio ruolo all’UNESCO ha definito i “concetti base dell’identità diplomatica romana: priorità della persona, promozione e difesa della pace, giustizia come condizione per la coesistenza pacifica tra i popoli, dialogo tra religioni e culture e primato del diritto internazionale”. “Ci è chiesto di dare testimonianza, cioè di essere forma stabile di un giudizio”, ha affermato mons. Follo, perché “di fronte alla crisi dei fondamenti, la realizzazione della propria essenza è affidata, non alle certezze ormai malferme della scienza, ma al rischio della fede e della propositività di una identità che si radica in un’esperienza di comunione ecclesiale cattolica”.
“Ciò che può definire questo periodo è il culto della libertà”, ha notato l’arcivescovo di Granada, S. Ecc. Mons. Francisco Javier Martínez, “che non ha pienezza e fondamento se non in se stessa, mentre per il mondo premoderno la libertà aveva un fondamento, una pienezza, un contenuto: Dio”. Citando Hegel ha ricordato che la libertà moderna è “puro terrore negativo”, perché “la sua pienezza è il suicidio, non trovando pienezza in se stessa”. Questa “libertà assoluta e necessariamente terrorista”, ha affermato rifacendosi a Eagleton, “non può che concepire il Mistero come un avversario: la parola amore non vi appare mai, mentre l’attrattiva della libertà è proprio la sua connessione con la possibilità di amare. L’io moderno non ha doveri, non ha rapporti, ha solo interessi e pulsioni, quindi non ha la possibilità di fondare ragionevolmente una vita morale”. “Nel nostro contesto”, ha continuato, “l’affermazione di una identità non può essere che un pericolo: o l’identità coincide con lo Stato o tutte le identità devono essere ridotte a credenze private, perché non possono pretendere di avere un rapporto con la verità delle cose”. C’è un’alternativa? Mons. Martínez ha concluso che “l’unico modo di recuperare gli ideali della modernità è convertirsi: non conosco altro modo di render meno brutto questo mondo che amare e vivere con gioia quello che ci è stato donato”.
“Il dramma della modernità è il dramma della ragione umana”, ha concluso mons. Albacete, “come diceva don Giussani il vero dramma dell’uomo non è se credere o non credere in Dio, ma l’impossibilità della rivelazione. L’impasse fra un’identità costituita da un’appartenenza e dall’individualità, caratteristica della modernità, può essere superata dalla nostra fede conservando il valore delle esperienze che i fautori dell’una e dell’altra parte cercano di conservare. Questo è il contributo della Chiesa al dramma della vita moderna: semplicemente essere fedele a se stessa”.