I muri delle macerie di Mosul

Press Meeting

I muri di cui si parla sono quelli di Mosul, in Iraq, città occupata dall’Isis e liberata dopo sei lunghi mesi di occupazione, con persone usate come scudi umani. La giornalista Lucia Goracci, che per la Rai da oltre due anni viaggia sui diversi fronti di guerra allo stato islamico, ha portato, nella terza giornata di Meeting, la propria esperienza documentata dal video girato nei momenti immediatamente dopo la liberazione di Mosul. Lo ha fatto nello Spazio Muri B2, introdotta, alle 12,30 da Paolo Magri, che ne ha annunciato la recente nomina a responsabile dell’Ufficio Rai da Istanbul.

La proiezione che dai maxi schermi ha fatto da cornice al racconto della Goracci fa parte di uno spettacolo teatrale, “Assedio”, curato dalla stessa giornalista. Raccoglie anche i primi momenti della liberazione di Mosul, grazie all’intervento dell’esercito governativo, dell’antiterrorismo e della polizia federale, insieme ad altre forze. Commenta la Goracci: «Oltre alla Medina, la parte più antica della città, sono andati in macerie la storia delle persone e il tessuto sociale. Da questi muri si dovrà ripartire».

Nel video i blindati iracheni con le bandiere sventolanti i caratteri arabi avanzano nel deserto, sollevando, anch’essi, un muro: di polvere. Hanno i fari accesi, la polvere rende difficile la visuale, sporca i vetri ormai opachi. Entrano nella città, girano per strade un tempo tracciate tra palazzi che non ci sono più: solo pietre su pietre. Resta la gente: uomini, donne e bambini che, prima timidamente, poi sempre più audacemente, sventolano bandiere bianche, festosi: «Per tre anni, chiusi nell’assedio, non hanno visto stranieri», ha spiegato l’inviata, che nell’incontro ha ripercorso la storia. Nel 1916 un accordo segreto tra il governo britannico e quello francese disegnò nuovi confini su altre macerie, quelle dell’impero Ottomano sconfitto. L’Isis si è ripreso due anni fa la stessa regione, tra il Tigri e l’Eufrate, dichiarando il Califfato, poi perdendola ancora; ma ciò è la dimostrazione che «la forza dell’Isis non sta solo nella sua spietatezza», come ha commentato la Goracci.

Nella proiezione sui maxi schermi un uomo con le mani legate viene fatto salire su un pick-up, due ragazzini ridono seduti su un mulo, ci sono uomini a terra, in fila, morti: «Sono terroristi lasciati insepolti», ha precisato la Goracci, alternando la ricostruzione storica a spiegazioni del video. Due militari entrano in una chiesa distrutta, appoggiano le armi su una panca, camminano fino all’altare davanti a un’immagine della Madonna e pregano. Fuori il cielo è riempito dal fumo nero dei pozzi di petrolio in fiamme.

Una persona dal pubblico ha chiesto: «Ma questa guerra ci riguarda?». La Goracci risponde ricordando Charlie Hebdo, gli attentati in Europa, e aggiunge: «È una guerra che ha attratto i foreign fighters: a Mosul ho visto con i miei occhi passaporti ceceni. Le donne cecene portavano lì i loro figli a combattere per l’Isis. Forse nei prossimi mesi, anni, i foreign fighters di ritorno continueranno a colpire le nostre città».

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