Homo ludens. Homo videoludens
Dove siamo quando giochiamo a un videogioco?
Rimini, 22 agosto 2022 – Giocare per giocare o per imparare qualcosa? Sono tante le domande affrontate nell’incontro “Homo ludens. Homo videoludens”, che il XLIII Meeting per l’amicizia fra i popoli ha dedicato al mondo dei videogiochi, suscitando forte interesse e curiosità nei partecipanti. Moderato da Alessandra Contin, giornalista, scrittrice e videogiocatrice, sono in-tervenuti Enrico Gentina, ideatore di Good game Italia e formatore, Serena Mancini, formatrice, e Michele Marmo, formatore e animatore sociale culturale.
Nell’introduzione Contin spiega che «i videogiochi sono la fonte di intrattenimento principale tra i 15 e 30 anni, e da un punto di vista commerciale rappresentano 200 miliardi di dollari di fatturato a livello mondiale». I videogiochi formano l’immaginario dei giovani ed è quindi le-cito porsi delle domande su questo medium.
Gentina è ideatore del progetto Good game Italia: «Il progetto nasce da una profonda curio-sità per questo mondo che per ragioni anagrafiche ho visto nascere e trasformarsi». Quella del gaming è un’industria florida, in continua crescita e sta prendendo il posto del cinema, della musica e della Tv. «La questione poco sopportabile sono le bolle di sapere chiuse in sè stesse, e pertanto l’idea è: proviamo a cercare delle persone interessate al mondo dei videogiochi, che non abbiano dei pregiudizi, e discutiamone insieme». Il primo appuntamento è in programma l’8 ottobre con il “thinkathon”: un grande incontro virtuale in cui mille persone connesse discuteranno di gaming.
Marmo interviene invece sulle competenze generate dai videogiochi. «Cosa si apprende giocando?», gli chiede la moderatrice. «Mi ha avvicinato ai videogiochi la scoperta di un universo che permette un apprendimento rapido di competenze ed emozioni», dice Marmo. «Siamo costretti a un cambio di paradigma, apprendere facendo un’esperienza fortemente relazio-nale col gioco». Un esempio sono gli ostacoli e gli errori previsti dalla struttura del videogioco: un elemento importante è «il recupero dell’errore che di solito nella nostra cultura non è così premiante». I videogiochi, se ben utilizzati, possono anche avere uno scopo terapeutico: si ribalta così un luogo comune. «Si tratta di proporre un’esperienza estetica e non anestetica», conclude Marmo.
Mancini introduce la parola “metaverso”, apparsa per la prima volta nel romanzo “Snow Crash” di Neal Stephenson, pubblicato nel 1992. «Nel giocare siamo immersi in un altrove, ma il nostro corpo entra nel gioco come estensione della relatà (metaverso), oppure entriamo con un avatar?». Mancini suggerisce di guardarsi da entrambi i punti di vista, interno ed esterno. «Dall’esterno il corpo è davanti allo schermo e apparentemente non partecipa, ma in realtà viviamo emozioni e piacere». Il punto è che mente e corpo sono uniti, e più che avere la pretesa di comprendere tutto dobbiamo esserne consapevoli. «I videogiochi sono pensati per saturare le nostre capacità sensoriali e catturano la nostra attenzione generando uno stato di focalizzazione attiva che è ottimale per la nostra performance», dice Mancini. Ma quanta scelta consapevole stiamo effettuando? «Se fossi totalmente presente mi accorgerei che mi si sono asciugati gli occhi!»
Marmo insiste sul concetto di consapevolezza: «Si dice che il gioco è un luogo di apprendimento, e così puo esserlo il videogioco. Uno dei capisaldi della formazione è che l’esperienza può essere trasformata in un sapere tramite la consapevolezza: non c’è esperienza senza ela-borazione». Passione per l’uomo è anche passione educativa. Quale ruolo dunque per l’adulto che accompagna? «Serve affiancare, fare esperienza insieme per riconoscere le competenze».
Un tema interessante è la certificazione delle competenze acquisite videogiocando. L’evolu-zione è talmente veloce, dice Gentina, che «tra qualche anno nei vostri CV metterete a quali videogiochi state giocando e gli Hr saranno interessati ai vostri videogiochi per darvi un lavoro che vi corrisponda».
Il videogioco resta però un argomento divisivo. «Quali sono i principali rischi?», si chiede la moderatrice. «Il primo rischio è dimenticarsi del corpo, e in secondo luogo la dipendenza. Occorre essere critici e superare le paure dell’ignoto».
Per concludere un consiglio: siate curiosi, andate a esplorare!
(G.P.)