A guardarlo sembra che Jonathan Fields, abbia scambiato il lungo tavolo della sala A2 per un palcoscenico: sussurra il motivetto che sta spiegando, arriva addirittura a simulare con le labbra il suono degli strumenti della melodia.
La sua empatia con gli spettatori è un dato di fatto: diversi i sorrisi e gli applausi. Prolungato e intenso quello finale, con cui il pubblico lo ha ringraziato per il regalo ricevuto: l’incontro con l’uomo Beethoven.
Dal suo modo di spiegarlo si capisce subito: per questo compositore americano, che a Brooklyn scrive la musica per la pubblicità, Beethoven è molto di più di un grandissimo musicista. È un maestro, quasi un padre. “Un grande ricercatore – afferma – che ha fatto di tutta la sua vita una estenuante, drammatica ricerca: la ricerca di un significato più grande, di cui la sua musica è la più immediata traduzione”. Una ricerca che è scritta sui fogli bianchi dei manoscritti conservati in un museo americano, dove Beethoven aveva abbozzato le note della Sinfonia n. 9. “Si capisce dalla grafia, che è come quella di un bambino che quest’uomo era attraversato da una drammatica lotta”. Una lotta che ha proseguito per tutta la sinfonia, si è tradotta nei termini di un’energia e di un controllo: in stile moderno, americano, direi”.
Un punto è certo: nonostante questo alternarsi di note, ora espressione di un’energia, ora di un controllo, c’era un ritmo di fondo continuo, come un motore inarrestabile.
Un motore che si spegne solo di fronte all’abbraccio con Dio e da lì lascia spazio alla vittoria, espressa con uno splendido vibrare di note. Una “vittoria nella quale – ha aggiunto – si legge tutta la gioia dell’abbraccio con il Padre celeste”.
F. R.
Rimini, 21 agosto 2007