Green economy, green welfare?

Redazione Web

Rimini, mercoledì 19 agosto – «Green economy, green welfare: siamo nell’ambito di sussidiarietà e sostenibilità ma cosa c’entra col titolo del Meeting di quest’anno?». Così ha introdotto i lavori dell’incontro sul tema Emmanuele Forlani, direttore Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, che, in collaborazione con Aci, Ferrovie dello Stato Italiane, Enel, Unioncamere, Terna, Cassa Depositi e Prestiti e Conai, ha moderato un dibattito con: Marco Brun, CEO Shell Italia; Massimo Bruno, responsabile Sostenibilità e Affari Istituzionali Italia Enel; Ermete Realacci, presidente Fondazione Symbola; Paolo Vestrucci, CEO Nier Ingegneria Spa.

Si è partiti dalla politica con Realacci: «Questo significa che si deve guardare al Paese con occhi diversi. Gli italiani sono pessimisti, vedono solo i problemi, eppure l’Italia ha qualche punto di forza. Da uno studio di Unioncamere risulta che in Italia ben 432mila aziende hanno investito nella sostenibilità ambientale e queste innovano ed esportano di più. Quindi la Green Economy è già una realtà in Italia al punto che è una superpotenza in Europa in tema di economia circolare. Noi siamo poveri di materie prime, ma usando l’intelligenza umana riusciamo ad essere competitivi utilizzando molta più quantità di materie prime di qualche anno fa, quando non si parlava ancora di economia circolare. Ma», ha proseguito, «non basta perché il vero salto si può fare quando ognuno di noi cambierà il suo comportamento. Inoltre la pandemia ci ha procurato enormi risorse da utilizzare, ma qui l’Italia balbetta perchè non sa come usarle. Un ministro ha proposto di utilizzare il recovery fund per costruire finalmente il tunnel sotto allo stretto di Messina, ma l’obiettivo proposto non rientra nelle possibilità concesse di finanziamento. Come Paese abbiamo vari punti di forza, bisogna individuarli e seguirne l’esempio».

Dobbiamo anche guardare con senso critico, ha aggiunto Realacci, quello che fanno gli altri; ad esempio Trump vuole rilanciare il carbone, ma tutto il mondo e gli stessi USA hanno da tempo avviato la trasformazione verso la decarbonizzazione.

Ha ripreso Brun: «Attuare la green economy non è argomento semplice. Siamo all’inizio di una grande crisi e quindi di grandi scelte che possono essere fatte solo avendo una visione comune che oggi come Paese non abbiamo, perchè nella concitazione prevale l’egoismo collettivo e di conseguenza perdiamo la visione del bene comune. Abbiamo come fardello le questioni ataviche: complessità, burocrazia, tempi lunghi, decisioni mai prese per paura dell’impopolarità. Dobbiamo però partire da un fatto: l’energia è cruciale per tutti i Paesi, l’abbiamo visto bene col Covid, senza infrastrutture energetiche saremmo stati tutti isolati». Brun ha presentato, quindi, un esempio sulla necessità investire sulle infrastrutture: secondo il Piano Energia Clima si dovrebbe passare, entro il 2030, dai 20 Gwatt di energia prodotta ai 50 Gwatt di potenza generata da fonti rinnovabili ma con gli attuali strumenti come il fotovoltaico non sarà possibile e si calcola che entro quella data si aumenterà di soli 6 Gwatt la potenza. Il problema, per il relatore, è la burocrazia, le leggi: «Ci vuole uno shock, ma se lo facciamo con le riforme ci vorranno anni. Dobbiamo imparare dall’esperienza del Ponte Morandi a Genova, imparare da progetti come questi ed estendere alla creazione di tutte le infrastrutture, da quelle energetiche al 5G ai porti italiani.

Partire con progetti subito e seguire poi con le riforme».
Vestrucci ha ricordato: «Negli anni ‘70 c’era il concetto di comando e controllo, non esisteva l’idea di inquinamento. Negli anni ‘80 con le prime direttive europee è nato il concetto di impatto ambientale e l’idea di inquinamento con quella di assunzione di responsabilità. Alla fine degli anni 80 e all’inizio degli anni ‘90 si parla di sviluppo sostenibile, di tema ambientale come realtà di sistema, e da qui sono state proposte le conferenze di Rio e di Kyoto. Si è arrivati quindi oggi ad una grande stanchezza sugli impegni da assumere ed è nata la diatriba tra negazionisti, che vogliono continuare come prima senza regole, e allarmisti, che vogliono bloccare ogni sviluppo».

Il relatore ha ricordato come il card. Scola su “OASIS”, a proposito della enciclica “Laudato Si’”, abbia prospettato il superamento di ciò con l’attenzione allo specifico umano: ecologia e sostenibilità integrale come frutto di relazione tra tutti gli elementi del sistema. Vestrucci ha parlato a tal riguardo di «un furto di senso negli aspetti di relazione alle generazioni attuali e future».

Bruno ha concluso: «In Italia le leggi indicano in genere gli obiettivi da raggiungere ma poi non danno gli strumenti nè indicano il modo per raggiungerli. Questa è la definizione di mancanza di visione. Parlare di visione significa invece affiancare alla trasformazione energetica, ad esempio, quelle di cui si deve necessariamente servire».

Ogni trasformazione, se è sola, è destinata ad avere problemi di sopravvivenza.
Forlani ha rilanciato, quindi, una domanda pervenuta dal pubblico: come fare per raggiungere praticamente gli obiettivi? Per Brun «se ciascuno di noi non capisce che deve cambiare le proprie abitudini, non capirà mai cosa significhi fare il suo dovere in tema di bene comune. È un problema sicuramente educativo». Realacci ha ribattuto che «il punto di partenza è di educarci alla responsabilità individuale, che è poi componente della sussidiarietà. Ma è difficile innescare un’educazione di massa. Kennedy nel 1962 disse che avrebbe portato un uomo sulla Luna entro il decennio. Lo presero per pazzo ma poi si innescò l’orgoglio nazionale diffuso e nel 1969 l’uomo arrivò veramente sulla Luna».

Bruno ha concluso: «Occorre una visione comune, un’educazione individuale, anche una condivisione comune di cosa si intenda per sostenibilità, perchè spesso siamo tutti d’accordo sulla sostenibilità, ma ognuno ha un’idea diversa del suo significato».

(A.L.)

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