Giussani 100
I molteplici frutti di un carisma unico
Rimini, 22 agosto 2022 – Quattro giganti dell’esperienza umana, moderati da Roberto Fontolan, direttore del Centro Internazionale di Comunione e Liberazione, hanno raccontato dal palco dell’Auditorium Intesa Sanpaolo D3 del Meeting di Rimini i frutti sostanziosi del loro incontro con la vita di don Giussani. Il primo intervento è stato di Maria Francesca Righi, badessa del Monastero Cistercense di Valserena, che nell’incontro personale con Giussani ha scoperto la sua vocazione di monaca. Il suo racconto accorato si è esteso dagli anni della giovinezza, ricchi di impegno durante il Sessantotto e nei quali ai testi di Marx si è presto sostituito il Libretto delle Ore con cui pregava alle manifestazioni studentesche, fino alla scelta della vocazione estrema della verginità monacale. Da “autista” di Giussani in giro per Milano il rapporto si è reso così personale che condivise con lui la sua scelta vocazionale: «Lo dissi al Gius in macchina e lui mi propose un viaggio in Argentina a visitare un monastero dove mi proponeva di entrare». Ma poi la storia prese un’altra piega e ci fu l’ingresso a Valserena, dove «la forma monastica era la stessa cosa dell’incontro fatto in Università». Anzi, ne era il compimento, perché «andare in monastero era andare in fondo alle questioni, anche alla dimensione politica che sennò – come diceva don Giussani – ti distrugge». Per concludere «in monastero c’è davvero tutto e non manca niente di ciò che rende la vita più vera, anche la paternità o maternità che è addirittura più vera, ed è quella che oggi manca alla nostra società». È stato poi il momento di Joseph Weiler, University professor alla NYU Law School e senior fellow al Center for European studies di Harvard, che ha preso la parola ancora «emozionato dall’intervento di suor Maria Francesca». Weiler era l’unico dei relatori a non aver incontrato Giussani di persona ma, come è successo con Gesù, ha affermato: «Io voglio incontrare chi ha incontrato Giussani», e ciò arricchisce la conoscenza del suo carisma secondo molteplici sorprendenti declinazioni. Weiler ha raccolto la ricchezza di tale carisma in sette proposizioni: la combinazione – tipica solo dei santi – tra pensiero filosofico e carisma umano magnetico; la dedizione alla sfida educativa; il senso della Presenza, perché Dio non è cerebrale; la Presenza come elemento del quotidiano; la grande spinta a non aver paura, in sintonia con San Giovanni Paolo II; l’estrema sensibilità per la cultura; l’amore per la Bibbia. A seguire, Fabrice Hadjadj, scrittore e filosofo francese, ha letto in piedi in perfetto italiano il suo intervento ricco di approfondimenti filosofici, imperniato sul carisma di Giussani per la cultura, perché egli aveva compreso genialmente che essa «non va cristianizzata, perché la cultura stessa quando è vera parla di Cristo». Hadjadj ha poi sviluppato il suo intervento attraverso paradossi e motti di spirito, citando il San Paolo di “tutto in Lui consiste” per fare un inno alla carnalità che rende il rapporto amoroso pieno e completo senza moralismi. Giussani, infatti, ha fatto capire che «Dio e l’uomo non sono come due concorrenti, in cui togliere a uno per dare all’altro: questo è l’errore dell’ateismo e di certo errato Cristianesimo». E ancora citando San Paolo che dice “Dio è tutto in tutti”, ha concluso con un inno alla musica come dimensione escatologica citando don Giussani per cui “il movimento è nato con la musica, cinque minuti prima della prima messa”. La chiosa finale, provocatoria nella sua profondità, è stata un invito per tutti: «Dobbiamo accettare il “calcio nel sedere” di don Giussani che ci spinge ad andare avanti e non girarsi indietro». Il quarto intervento, di Guzman Carriquiry, vicepresidente emerito della Pontifica Commissione per l’America Latina (Cal), ha avuto come culmine l’immagine di Giussani che va incontro a San Giovanni Paolo II nel celebre incontro dei movimenti in piazza San Pietro il 30 maggio 1998. Fu proprio Carriquiry ad accompagnare il fondatore di CL in quel momento: «Fu la giornata più grande della mia vita, e percepii cosa significa la coessenzialità dei doni carismatici con quelli gerarchici che sempre rinnovano la Chiesa». Vivendo per professione ben 48 anni nella Santa Sede, con la grazia di essere a contatto con quattro papi, «nessun incontro mi ha colpito come quello con don Giussani, che si interessava a me e alla mia famiglia per l’uomo che ero e non per il ruolo che avevo, come se in quel momento fossi la persona più importante del mondo ai suoi occhi. La passione all’uomo era passione alla mia persona lì in quel momento». Carriquiry ha poi dato uno sguardo accorato allo sviluppo recente di Comunione e Liberazione perché «“Giussani 100” non può essere né momento di apologia né di nostalgia, ma deve essere celebrazione della sua presenza permanente che ci accompagna alla Comunione dei santi». Giussani dal cielo «si aspetta che “i suoi” mantengano i doni non per conservarli in vasi ma per farne frutto; il più bel regalo che possiamo fargli è quello dell’unità tra noi e chi guida, nell’obbedienza al Papa», perché «l’obbedienza per don Giussani era dato incrollabile. Obbedienza libera e non “politica”, per cui chiedeva spiegazioni e proponeva soluzioni». Oggi, ha concluso, «il pontificato di Francesco opera come scossa di destabilizzazione per superare stanchezze e superstizioni e ci chiama ad avviare una nuova fase della storia del movimento, perché porti sempre nuovi frutti».
(G.F.)