GIOVANI E CRISI: FINE DI UN MONDO O INIZIO DI UN ALTRO?

Press Meeting

È presidente del “Benetton Group”. Visto che si chiama Alessandro e di cognome fa Benetton, sembra la cosa più normale del mondo. Un’ordinaria – e di successo – storia di capitalismo familiare. Così non è. Al ruolo di presidente del gruppo, Alessandro Benetton ci è arrivato seguendo un percorso che con il “lavoro di famiglia” non c’entra nulla. Lo ha raccontato al pubblico del Meeting durante l’incontro “Giovani e crisi: fine di un mondo o inizio di un altro?” svoltosi oggi pomeriggio in sala Tiglio e presentato dal presidente della CdO, Bernard Scholz.
“Il tema dell’incontro ci pone di fronte a due soggetti, la crisi e i giovani. La crisi è profonda, i meccanismi finanziari da cui è stata originata ci sembrano oscuri. Sembra non ci sia più futuro. Ma i giovani sono sempre portatori di futuro, di fiducia. E nei momenti di discontinuità si aprono nuovi spazi. È il momento in cui talento e capacità possono fare la differenza, perché trovano lo spazio per esprimersi. Da questo punto di vista la mia storia, il mio percorso umano e professionale, ne possono essere un esempio”, ha spiegato Benetton.
“Quando la mia famiglia ha fondato la nostra azienda io avevo un anno. L’unico rapporto con questa realtà è stato quando mio padre decise che tre mesi di vacanze estive erano troppi. Così passavo un mese a pulire e riordinare in fabbrica – ha continuato Benetton – ero uno studente mediocre e non mi consideravo ricco di particolari talenti, ma al liceo ho incontrato un’insegnante di filosofia che mi ha appassionato allo studio e mi ha fatto scoprire le mie potenzialità. Da qui è nata la scelta di fare l’università negli Usa”.
Benetton non si aspettava di essere ammesso a Harvard, ma ci riesce e lì accade un “mezzo miracolo”. “Riesco redigere la tesi di laurea con Michael Porter, uno dei consiglieri di Bill Clinton. La cosa è stata importante ma soprattutto lo è stata la decisione di andare negli Stati Uniti, di scoprire e conoscere nuovi mondi. Soprattutto, di valutare nella realtà le mie capacità. Subito dopo sono stato a lavorare un paio d’anni a Goldman & Sachs”.
In tempi non sospetti, tiene a precisare sorridendo, Quando rientra in Italia ha 26 anni e con un curriculum così la strada nell’azienda di famiglia sembra spianata. Ma le sue idee non combaciano con quelle del management dell’epoca e suo padre è chiaro: “Se devo scegliere tra te e management, scelgo loro. Trovati un lavoro”.
Alessandro Benetton opera un’altra scelta di discontinuità. Individua nel settore delle banche commerciali e finanziarie uno spazio vuoto, quello per la piccola e media impresa e nasce 21 Investimenti. Un storia di successo che porta il gruppo a diventare uno dei principali operatori di private equity in Europa. La “chiamata” da parte del Benetton Group arriva quando Alessandro è già un manager di successo. Arriva perché l’azienda cerca qualcuno capace di dare un nuovo orizzonte a un’impresa con 45 anni di storia alle spalle. Lui è considerato dal management aziendale la persona in grado di farlo. “Non esiste una ricetta precisa e univoca per ottenere questi risultati – sottolinea Benetton – però se non avessi vissuto le mie esperienze, non mi fossi misurato con decisioni ‘discontinue’ con ciò che avevo intorno, non mi sarei mai sentito di assumermi una responsabilità cosi grande. Sono presidente di un gruppo presente in 120 Paesi, con diecimila dipendenti. Penso che in certi momenti bisogna dimostrare coraggio e non sentirsi mai tranquilli. Viviamo in un mondo che cambia ogni giorno e dobbiamo tenerne il passo. Non ci sono strade preconfezionate per nessuno e dobbiamo sempre cogliere l’occasione che ci troviamo di fronte”.
Benetton vede in ogni crisi e in ogni “discontinuità” con una normalità ingessata, una sfida e un’opportunità. Come continua a fare 21 Investimenti. Mentre in molti pensano alle sale cinematografiche come al passato, loro ci scommettono sopra. Mettono insieme Medusa e Warner Village. Creano massa critica, considerano il cinema anticiclico e un prodotto che piace ai ragazzi. I fatti gli stanno dando ragione.
Insomma se c’è una “ricetta” è misurasi sempre con il nuovo, non sentirsi mai arrivati e misurare ogni giorno nel rapporto gli altri il dono dei propri talenti.

(C.B.)
Rimini, 23 agosto 2012

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