GENERARE UN UOMO PERFETTO?

Press Meeting

“Ogne scarrafone è bello a mamma soja”, ma il problema è che oggi “’o scarrafone non lo vuole più nessuno”. Il vecchio detto napoletano, citato e reinterpretato dalla gionalista e scrittrice Eugenia Roccella, potrebbe costituire il motivo dell’incontro svoltosi questa mattina nell’Auditorium D5, cui ha partecipato anche Roberto Colombo, Direttore del Laboratorio di Biologia Molecolare e Genetica Umana all’Università Cattolica di Milano.
Marco Bregni, Direttore dell’Unità di Ricerca Strategica di Terapia Sperimentale in Oncologia all’Ospedale San Raffaele di Milano, nel suo intervento introduttivo ha spiegato che in realtà la domanda posta dal titolo dell’incontro non è nuova, tanto che oggi lo scopo fondamentale degli addetti ai lavori, e non solo, è quello di “migliorare l’uomo, impedendo la nascita di chi non è perfetto”: l’incontro di oggi serve appunto a conoscere gli attuali orientamenti della bio-medicina.
“Con la fine del ‘900 pensavamo fossero finite anche le ideologie”, ha detto la Roccella in apertura: in realtà “l’utopia si è spostata dal campo sociale a quello genetico”. In questo campo “non esistono buone intenzioni”, perché queste in realtà sono intrinsecamente violente, tendono a “raddrizzare il legno storto dell’umanità” (secondo la famosa definizione kantiana). “La nostra condizione è invece l’imperfezione”: occorre che si verifichi nella nostra società l’”elogio pubblico dell’imperfezione”, così da difendere ciò che ci “rende unici”. In fondo – ha continuato – l’eugenismo non è mai morto, perché oggi assistiamo al passaggio da un “eugenismo affermato da una impostazione statale” a uno basato sulla “libera scelta individuale”. “Decidere sull’embrione, infatti non è una scelta per sé, ma è autoritarismo sull’altro”. Il desiderio di selezione, il “non volere il bimbo malato”, sembra una scelta consapevole, ma comporta delle conseguenze, come l’eliminazione totale della disabilità; la sostituzione del cittadino con il consumatore come soggetto di diritto (mercato della qualità umana); l’espropriazione fisica e culturale della maternità (distruzione del senso). Queste conseguenze, inoltre hanno generato le cosidette “micropolitiche del desiderio” e la “genobiltà”. Tutte queste dinamiche sembrano essere sonstenute anche da una “lotteria dello Stato” in cui si compra un biglietto per poter vincere “un pacchetto genetico”. In conclusione del suo intervento, la Roccella ha riaffermato che occorre che l’esperienza della genitorialità non si “raffreddi”, perché “la concretezza della nostra vita sta nel tenerci stretti quei saperi, quei rapporti, che ci fanno capire il senso”.
“Qui mancano i fondamentali della ragione”, ha iniziato Colombo, genetista clinico, che lavora a stertto contatto con i pediatri, visitando bambini con malattie rarissime. “Non siamo contrari alla ricerca scientifica”, ma occorre che nel “togliere la zizzania non si butti via il seme buono”. “Che senso ha modificare questi difetti genetici – si è chiesto – se si toglie di mezzo il malato?”. In realtà, “noi non possediamo il senso delle cose, ma siamo posseduti dal senso delle cose”. A questo proposito ha raccontato l’episodio dei genitori di un bambino colpito dalla sindrome di Pfeiffer, che accettando il senso della malattia, hanno imparato a voler bene di più al proprio bambino. Esempio servito per dire anche che la “genetica aiuta a scoprire un pezzo di verità”, perché “la vita di gioia e di dolore in parti uguali è fatta” (Claudel) e per fare il medico occorre amare la vita e non aver paura della sofferenza. La perfezione dell’uomo, in conclusione, non è l’assenza di difetti, ma perficio (portare a compimento), è qualcosa che ha a che fare con il destino.
Nel chiudere i lavori, Bregni ha ricordato che “l’imperfezione è un’opportunità”, perché è l’essere amati che rende uomo l’uomo e non la perfezione dei suoi geni.

G.F.I.
Rimini, 23 agosto 2007