“Questo incontro vuole essere una testimonianza, non un dialogo astratto su principi; viviamo una esperienza positiva e sentiamo la responsabilità di comunicare, di suggerire esempi ed esperienze alla luce di un punto di vista diverso, per poter giudicare”. Alberto Savorana, direttore di Tracce, da buon padrone di casa segna l’alveo degli interventi: non vane parole ma esperienze concrete. La minaccia è grave: l’avanzare di una mutazione antropologica che cerca di minare la radice dell’esperienza umana della famiglia come tensione alla verità della propria umanità ed affettività impone una battaglia culturale. Savorana cita Giussani: la famiglia è un fondamentale fattore educativo, ma fragile; non può restare da sola, deve uscire dal comodo per stabilire rapporti che si oppongano alle trame sociali dominanti. Le associazioni nate dall’educazione della persona nel carisma di Comunione e Liberazione, in tutti gli ambiti sociali, ne rappresentano la naturale conseguenza.
“In trent’anni di vita matrimoniale nulla è andato perduto, ne è valsa la pena, o meglio oggi ne vale la pena”. Non ha nessun rimpianto Caterina Tartaglione del Sidef sulla sua esperienza matrimoniale. Ciò che ha permesso questa unità – confessa la Tartaglione – è l’aver intravisto, anche dentro le esperienze dolorose, un nesso, un significato, una verità sottesa. La gratitudine verso don Giussani, che ha consegnato questa verità, non è affatto formale. “Per me vivere il matrimonio vuol dire un’educazione continua: camminare insieme verso Cristo, unico capace di rispondere alla sete di felicità che l’altro suscita in noi”. Solo in quest’ottica è possibile abbracciare i limiti e le diversità, attraverso il perdono. “Questo avviene perché noi per primi siamo stati accolti”. Il Sidef ha fatto dell’accoglienza la sua parola d’ordine per difendere la famiglia, laddove è stata minaccata o ostacolata. Molto spesso – conclude la Tartaglione – si sottolinea il valore della famiglia solo con le parole, ma nei fatti la società attuale vuole l’uomo solo, sganciato dalla famiglia, per renderlo più manipolabile dal potere.
“La passione nel vivere la normalità della vita, il desiderio che le solite cose diventassero stupore per noi e per i nostri figli”, è stata la principale attrattiva che ha condotto Jimmy Garbujo all’interno della esperienza di Famiglie per l’accoglienza. “Essere accolti prima di accogliere”, questo rappresenta il comune denominatore di tutte le numerose esperienze di carità di Garbujo: dall’accogliere una madre disabile fino ad un radicale cambiamento di vita, accettando di gestire una casa famiglia. L’implicazione della propria umanità nella realtà, affidandosi alla storia in cui Dio pone, è la provocazione lanciata all’umanità di ciascuno: “la gratutita genera gratuità” e non ci sono ostacoli insormontabili. Non è facile – continua Garbujo – che la nostra casa diventi la casa degli altri, ma preservarci non educa né noi né i nostri figli; essi vedendo il bene in atto hanno imparato ad accogliere a loro volta.
“Fare della nostra famiglia qualcosa di grande, per questo vi racconto il miracolo che Dio ha compiuto nella nostra vita”. Lunghi applausi accompagnano l’intervento commovente di Emilio Gobbi dell’Associazione Fraternità di Crema. Un uomo, una famiglia, che ha scoperto la profonda corrispondenza tra l’esperienza di accoglienza ed il proprio desiderio più profondo al punto da accettare l’affidamento, di schianto, di tre bambini down abbandonati. “La nostra incoscienza è stata la nostra vocazione” – ha commentato Emilio tra gli applausi – abbiamo scoperto una paternità inaspettata con don Mauro Inzoli, che ci ha sempre sostenuti nel cammino. Imitando il suo sguardo, riverbero di quello di Cristo, abbiamo non solo iniziato a servire il bisogno di chi era in difficoltà, ma imparato a perdonarci reciprocamente e ricominciare.
Solo questo sguardo, l’essere stati accolti prima di accogliere, ci ha permesso di accompagnare Gianluca, gravemente ammalato, nella mani di Dio e di trasformare qualcosa di intollerabile nell’amore del sì a Cristo.
“Non mi sento sola, appartengo al popolo del Family Day”: Eugenia Roccella, giornalista e scrittrice, scende ancora una volta in piazza, ma questa volta in quella del Meeting. È in atto un attacco ideologico alla famiglia, che dopo aver superato la fase ideologica degli ani ‘70 e quella di ostacolo alla realizzazoione personale degli anni 80 si concentra sui diritti individuali, intesi come antagonisti al naturale ambito famigliare: la scelta di Amnesty International sul dirittto riproduttivo è a senso unico, come quella dei DiCo. All’interno di una logica antinatalista, la procreazione viene allontanata dalla famiglia e considerata un diritto individuale. “Solo i cattolici, accusati di essere sessuofobi, sembrano difendere la carnalità”. Per la Roccella è opportuno difendere un’“esperienza permeata di naturalità e storia umana”, come la famiglia, per non minare le basi della convivenza umana. I cattolici devono rimanere uniti al popolo dei laici che non sono vittime delle derive estremiste. “La piazza non va a casa e noi siamo questa piazza… Tocca a noi difendere l’uomo da se stesso”.
NL
Rimini, 22 agosto 2007