Essere viventi

Redazione Web

Rimini, martedì 18 agosto – «Ogni organismo diviene sè stesso grazie a ciò che è altro da sé». Questa l’anticipazione sintetica di Giorgio Dieci, professore di Biochimica dell’Università di Parma e membro dell’Associazione Euresis, ad introduzione dell’intervento di Scott F. Gilbert, emeritus Howard A. Schneiderman professor of Biology, Swarthmore College, padre fondatore della biologia che studia il meccanismo di crescita e sviluppo dei viventi.

Gilbert – prosegue Dieci – ha riconosciuto e studiato il carattere relazionale di questo meccanismo. È autore del testo di riferimento del 1985 Development Biology, giunto oggi alla dodicesima edizione. La sua collaborazione col Meeting di Rimini ha trovato ampia espressione nell’edizione del 2012, cui è seguito un simposio multidisciplinare tenutosi a San Marino.

Dieci ricorda che «in quell’occasione incantò tutti raccontando come i rapporti di simbiosi sono determinanti per lo sviluppo biologico», e la sua carriera accademica è costellata di riconoscimenti e premi. È considerato – insiste Dieci – il fondatore della biologia evoluzionistica dello sviluppo (EVO DEVO) e contribuisce alla comprensione della biologia nelle sue relazioni con l’ecologia (familiarmente, ECO EVO DEVO). Dieci ricorda anche un famoso articolo in cui Gilbert, che è studioso anche di storia della biologia e di religione, usava molti riferimenti ad Abraham Heschel, autore della frase titolo del Meeting 2020, e pone subito a Gilbert, collegato dall’Oregon, la prima domanda: come può la biologia avere a che fare col sublime?

Gilbert va direttamente al punto centrale: comunicare l’idea di essere fatti come un prodigio, la meraviglia dell’interdipendenza. «Il sublime non è sempre là, dobbiamo sentirlo. E non è appena il bello, è di più: meraviglia e spaventa. Voi», prosegue riferendosi al pubblico, «non siete solo un individuo: siete un insieme di sottosistemi, siete un bioma».

Articola quindi la risposta partendo dalle varie accezioni di individualità: quella genetica, quella immunitaria, e quella evolutiva, la selezione naturale. Sono però tutte sbagliate. Si deve riconoscere che un cosiddetto “individuo” è in realtà un olobionte: un animale, o una pianta, insieme ad una comunità di esseri simbiotici che la integra. Secondo i suoi studi, gli animali non possono esistere senza questi simbionti. «La metà delle nostre cellule non è genetica, sono microbi. Ogni poro della nostra pelle è un sottosistema».

A fronte di circa ventiduemila geni – illustra Gilbert – che costituiscono il patrimonio genetico complessivo, ve ne sono otto milioni appartenenti ai simbionti. Per gli uomini, il canale della nascita introduce batteri diversi da altri presenti normalmente, ad esempio nei primi nutrienti. Vi sono batteri che non possono essere digeriti dal piccolo, ma devono colonizzare l’intestino del bimbo. Per alcuni insetti ci sono degli scambi tra colonie.

L’assenza di alcuni batteri provoca malattie. Fisiologia umana e dei batteri sono collegate, quindi occorre parlare di biometabolismo, ossia interazione tra batteri. Questa interazione non si limita ai primi giorni di vita, ma prosegue per tutto lo sviluppo. La bellezza dell’orchidea è dovuta a un fungo che invade i semi e fornisce nutrienti, e solo così il seme arriva alla necessaria maturazione.

Il discorso di Gilbert si dipana ulteriormente, concretissimo e ricco di esempi, anche riferiti alla specie umana. In definitiva, lo sviluppo è una funzione olobiontica. «Noi diventiamo con altri», afferma, «e non in quanto adulti consenzienti».

Dieci osserva che essere fatti così, anatomicamente e fisiologicamente, con una compenetrazione di componenti che eccede i confini dell’individuo, è sconcertante, perché sconvolge tutto il pensare comune sulla biologia. E pone, al proposito, la domanda sul sistema immunitario, che nel pensare comune dovrebbe proteggerci dai batteri. Gilbert risponde, con rapidi esempi, che l’immunità è una delle tante funzioni dell’olobionte. «Gli animali senza germi hanno fisiologia insufficiente. Filosoficamente è una messa in crisi della concezione classica del sistema immunitario, che in pratica è diverso a seconda della provenienza dei batteri». Per Gilbert, «esiste individualità immunologica ma non è quella classica. Il sistema immunitario è un insieme di buttafuori».

Domanda ancora Dieci: cosa vuol dire per l’evoluzione della vita sulla terra? Gilbert parte da una frase di un’altra studiosa: «La vita si è diffusa non attraverso il conflitto, ma attraverso la cooperazione» (Margulis), ed esemplifica con l’evoluzione degli erbivori, che hanno uno stomaco specificamente costruito (da certe interazioni con batteri) per digerire le piante, cosa molto più complessa che digerire la carne, e in più viene risolto il problema di contrastare le tossine che molte piante contengono.

È il momento di rapide e dense considerazioni finali. Per Gilbert la natura può instillare in noi la meraviglia, ma poi viene la curiosità. Non a caso la parola inglese wonder contiene domanda, timore e meraviglia. «Ed é questo mix tra timore e meraviglia che consente di capire il sublime». L’incontro si chiude, perciò, con la riflessione su due parole. Una è la russa ostranenie (estraneità). L’altra, usata da Heschel, è radical amazement, (meraviglia – stupore radicale, “svegliarsi e guardare il mondo in modo non scontato”, traduce Gilbert). La conclusione, «per essere spirituali bisogna essere pieni di meraviglia», suscita lunghi e scroscianti applausi.

(A.C.)

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