Due genitori che non si arrendono disorientati e sbigottiti ai diktat di routine della medicina ma accettano l’arrivo di una vita, comunque essa sia, perché Dio non abbandona e ciò che agli altri appare una disgrazia diventa, avrebbe detto il filosofo Mounier, la visita di “Qualcuno di molto grande”. Mariangela Fontanini e Riccardo Ribera D’Alcalà, questo pomeriggio, hanno parlato di Giulia, la loro figlia di 8 anni con problemi neurologici, attraverso la quale parole come “certezza”, “condivisone”, “amore” sono uscite dal limbo dei discorsi per diventare esperienza quotidiana. Esperienza per loro genitori, per Giulia stessa, per le sue sorelle, per il neuropsichiatra che ha in cura la bambina e per tutti coloro che l’hanno incontrata.
A Mariangela e Riccardo nel 2002 non mancava nulla. Giovani, due belle gemelle di sei anni, un lavoro ben retribuito da funzionari del Parlamento europeo a Bruxelles. Poi l’imprevisto si affaccia nella loro vita. Ha le forme di una risonanza magnetica effettuata sulla terza figlia che Mariangela porta in grembo. Il responso del neurologo dell’ospedale è freddo e distaccato: la bambina, se sopravviverà al trauma della nascita, “sarà un vegetale”. L’unica strada consigliata è l’aborto di lì a tre giorni. “Quando uscimmo dallo studio del medico – ha ricordato Mariangela – io e Riccardo ci guardammo e leggemmo la stessa decisione uno negli occhi dell’altra. Giulia sarebbe nata”.
Furono mesi di grande sofferenza, vissuti chiedendo aiuto a Dio per sostenere la situazione, confortati anche dalla preghiera e dall’affetto di Giovanni Paolo II. Giulia nacque senza difficoltà, ma dopo pochi mesi i problemi cominciarono a manifestarsi: la bambina non si muoveva e non parlava. Il neurologo altro non seppe consigliare se non il ricorso ad una psicologa che parlasse italiano. Ma nel mondo della medicina, Mariangela e Riccardo trovarono altri professionisti disposti ad aiutarli perché Giulia “non crescesse né infelice né triste”: Mariella Pedrazzini, una terapista della riabilitazione di Milano, e Bernard Dan, neuropsichiatra, direttore della Clinica universitaria pediatrica “Regina Fabiola” di Bruxelles oltre che presidente dell’Accademia europea di disabilità infantile, presente anche lui all’incontro di questo pomeriggio. Con il loro aiuto e quello di una trentina di volontari hanno potuto dare a Giulia quelle terapie e quell’assistenza quotidiane di cui la bambina aveva bisogno per non soccombere ai suoi problemi.
Giulia non è un vegetale. I suoi sono “occhi di cielo”, dice la madre, che interrogano chi le sta accanto su quei “perché” che spesso sono assopiti dentro di noi. I suoi occhi hanno interpellato anche il dottor Dan, che non professa alcuna religione, ma cerca di essere un rigoroso specialista della neurologia senza fare della medicina un idolo. Dan contesta l’impiego di espressioni come “vegetale”. Per lui l’uomo non è una pianta e dell’uomo non si può capire tutto. Come non si può prevedere lo sviluppo di un organismo. “Non possiamo stabilire tutto partendo dal patrimonio genetico – ha spiegato – sullo sviluppo influiscono le cellule ma anche l’esperienza e il caso”. Giulia è un essere unico e come tale non può essere assoggettato esclusivamente a protocolli generici. “Oggi intorno a lei c’è un team – ha esemplificato Dan – e lei, con il suo sviluppo e le sue conquiste, è la caposquadra. Noi, genitori, medici, volontari siamo i giocatori con i loro ruoli. La strada, però, la indica lei”.
All’incontro ha partecipato anche Fabio Cavallari, un giornalista che alla vicenda di Giulia ha dedicato un capitolo nel suo recente libro, edito da Lindau: VIVI Storie di uomini e donne più forti della malattia. “Giulia non è un mito né voglio trasformare in eroi i suoi genitori e i volontari – ha esordito Cavallari – Questa storia dimostra soltanto che l’uomo lotta per vivere, è fatto per la vita e che la morte va contro il desiderio di tutti gli uomini, credenti o meno. Chi ha problemi di salute, non bussa alla porta della Asl per chiedere di morire ma per vivere una vita dignitosa”. I parametri della dignità, secondo Cavallari, non possono essere stabiliti dalla società, da questo buonismo “che vorrebbe far fuori quelli che non rispondono a certi standard psico-fisici perché tanto non sarebbero mai felici”. “In Belgio, dove vive Giulia – ha sottolineato lo scrittore – il modello di sanità è uno dei più avanzati in Europa ma manca l’umano, quell’umano che ha permesso a Giulia di nascere e di essere protagonista”. E non per modo di dire: oggi Giulia non parla ma si esprime in mille altre maniere, sorride, capisce tre lingue (italiano, francese e spagnolo) e a settembre, a Bruxelles, comincerà la scuola elementare come gli altri bambini.
Cos’hanno imparato e stanno imparando i genitori di Giulia da questa storia? “Oggi, dentro la sofferenza di un dolore innocente – ha detto Riccardo – la promessa di bene, avuta con la nascita di Giulia, si è fatta certezza e la fede è diventata sempre più esperienza”. “È vero – ha confermato Mariangela – e la certezza dell’inizio si è consolidata perché confermata da quello che vi ho potuto raccontare ora”.
Conclusioni a Davide Perillo, direttore di Tracce, la rivista di Comunione e liberazione. “La realtà è testarda ed è lì a chiederci di essere leali con il nostro cuore. Una lealtà che diventa possibile quando, come diceva Mounier, ‘Qualcuno di grande ci visita’ secondo modalità imprevedibili. E più si è leali e più si fa esperienza della certezza”.