“L’educazione non è un tema fra gli altri, ma ‘il’ tema: consiste nel capire come si trasmette l’esperienza, di qualunque tipo, in un percorso educativo che è al tempo stesso percorso di istruzione”. Esordisce così Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà all’incontro “Educazione: dalla periferia al centro” svoltosi alle 17 in sala Neri – Conai. E, rivolgendosi al ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, domanda: “Come vede il fenomeno educativo nell’istruzione, dal punto di vista del suo ruolo e della sua umanità? Il tema del Meeting intende le periferie non solo come luoghi ma come persone. Per noi l’educazione è un percorso in cui si aiuta la persona a diventare centro”.
Il ministro risponde citando papa Francesco e le “periferie esistenziali” e nota che la periferia è “spazio che avanza, abitato da gruppi sfavoriti e svantaggiati, come nei barconi che affondano o nelle grida dall’Iraq”. Secondo Giannini la risposta si rinviene non tanto in considerazioni di tipo economico o militare, quanto nel modello educativo italiano: “Immaginate centinaia di giovani siriani, iracheni, libici, tunisini, che vengono in Italia per studiare”. La crisi crea nuovi poveri e occorre “riconoscere in queste periferie la voglia di emancipazione”, perché il sistema educativo, nato come privilegio, è poi divenuto ascensore sociale.
Il ministro cita poi Renzo Piano, che definisce le periferie “città del futuro”, non in senso estetico ma in quanto “ricche di umanità e quindi di energie”. Spetta proprio alla scuola raccogliere queste energie e farle emergere. Il primo applauso arriva quando Giannini afferma che “la scuola deve sostenere una scelta educativa oggi non ancora garantita”. Ricorda le recenti visite a Catania, nella scuola statale del quartiere di Librino, e a Torino, nella fondazione educativa Piazza dei Mestieri. In queste realtà insegnanti e dirigenti attuano già il percorso auspicato per tutti: “smetterla con l’autoreferenzialità e uscire dal palazzo”.
Per adeguare l’insegnamento alle mutate condizioni sociali, occorre agire in termini di professionalità degli insegnanti, di contenuti e di metodi, “per garantire un maggiore diritto allo studio, un puntuale aggiornamento e l’eliminazione della piaga del precariato”. Il ministro sostiene poi che “è necessario integrare cultura e istruzione: il Louvre ha una struttura interna per formare alla pratica museale: perché non potrebbe esistere anche a Pompei o agli Uffizi?”. Dobbiamo inoltre attenderci quanto prima “un cambiamento di basilari regole del gioco, cioè il contratto di lavoro, che dovrebbe introdurre la valutazione per merito degli insegnanti e delle scuole”.
Al termine sono state poste tre domande. Alberto Bonfanti, insegnante e responsabile del Centro di aiuto allo studio Portofranco, chiede come il ministro intenda valorizzare l’insegnante attraverso la progressione di carriera. La domanda di Marco Masi, presidente della Federazione Opere Educative, è “Quali passi farà per un’effettiva integrazione delle scuole paritarie?”, mentre Dario Odifreddi di Piazza dei Mestieri, rallegrandosi per il riconoscimento della formazione professionale, chiede che ne venga esplicitato il ruolo e audacemente si propone a collaborare per la creazione nell’Italia meridionale di quindici centri di istruzione professionale di eccellenza.
Il ministro, rispondendo, precisa che intende la progressione di carriera non solo come basata sull’anzianità ma sulle attività svolte, con penalità per chi non fa il proprio dovere. Sulla parità scolastica si dice preoccupata più da un pregiudizio culturale che dalla mancanza di risorse economiche: “Quando un governo decide di investire nella centralità della persona, le risorse si trovano”. Infine invita, per le scuole di eccellenza professionale, a fare ricorso ai PON, ovvero ai Piani Operativi Nazionali del ministero.
(A.C, D.T.)