Rimini, 25 agosto 2015 – “Ciò che accomuna i relatori – afferma Monica Poletto, presidente della Compagnia delle opere sociali, introducendo l’incontro – è che sono persone appassionate del lavoro e dell’educazione delle persone attraverso il lavoro” e passa subito la parola a Manuela Kron, direttore Corporate affairs Nestlè Italia. La manager entra nel merito affermando che “la questione è quella della mia personale passione. Una passione che mi è stata trasmessa in questi termini: avere a cuore il bene comune e tradurlo in concreto nello specifico del lavoro in azienda”. Kron spiega anche che se si vuol trasmettere qualcosa, “devi essere disponibile sempre, diventando il punto di riferimento dell’aiuto agli altri”, invertendo così un trito luogo comune. Afferma infatti che “il capo sarà anche meritevole quando il suo gruppo lavora bene, ma ti devi prendere la responsabilità delle cose che vanno male”. Si capisce allora che uno dei suoi primi incarichi (le verifiche per il millennium bug) le sia stato affidato non per competenze tecniche ma “perché sapevo far lavorare la gente insieme”.
Stefano Sala, amministratore delegato del gruppo Per, approfondisce la questione educativa, notando che il lavoro costituisce il primo ambiente realmente esigente che il giovane di oggi incontra nella vita. “La vita tende a parcellizzarsi in compartimenti – nota Sala – ma chi lavora meglio è chi ci mette il cuore, chi mette tutto se stesso integralmente. Il lavoro della mia azienda parte sempre da disastri o disgrazie e bisogna intervenire subito. Non puoi andare avanti a mansionario. Rinunciare talvolta ai week end o alle ferie è possibile solo a chi si rende conto di tutto”. Prosegue ricordando che infatti “bisogna dare professionalità, certo, ma anche capacità di guardare la vita per intero, nella sua complessità. Il nostro lavoro è anche mettere d’accordo interessi contrastanti. Chi mai può farlo se non chi ha un’umanità diversa e ricca?”. Infine l’amministratore di Per si pronuncia sull’aspetto degli errori. “Nessuno entra in ufficio con la volontà di sbagliare. Se lo fa, è perché non ha ben capito (o non ancora) il nesso del suo lavoro con quello di tutta l’azienda e magari non è colpa sua. Non so quanti accettano che i tuoi collaboratori siano più bravi di te”.
Poletto passa quindi la parola a Silvio Bortolotti, amministratore delegato della Micoperi, azienda recentemente assurta agli onori della cronaca (e del prestigio internazionale) per l’ardita operazione di rigalleggiamento della Concordia. Bortolotti narra delle sue origini come imprenditore e del modo rocambolesco in cui comprò la Micoperi, azienda che era passata dai 2500 dipendenti del dopoguerra ai 35 degli anni Novanta. “Mi ero messo a fare un mestiere che non era il mio, ma quei 35 dipendenti mi comunicarono tutta l’esperienza che avevano. Ad ogni nuova commessa mi portavo l’ufficio sul luogo delle operazioni, cioè in mare, impiegati compresi”. E a proposito dell’operazione Concordia racconta: “Non la volevo fare, perché io non lavoro sulle disgrazie. E non ho ricaricato nulla, perché lucrare sulle disgrazie porta male. Ho chiamato tre che erano in azienda da quando avevano i calzoni corti, loro hanno accettato e quindi anch’io”. Cita poi le 35mila immersioni dei sommozzatori e la brillante soluzione adottata per agganciare sott’acqua catene da 26 tonnellate. Con una punta d’orgoglio e sempre in tema di esperienza dice che “l’ha trovata un perito anziano, non un ingegnere. Meno male, perché io a scuola ero un somarino…”. Poi l’affondo su educazione ed errori: “Non si possono scrivere regole per far crescere i dipendenti e loro non devono rispondere a me, ma ai loro colleghi più anziani, che hanno costruito per loro quel posto di lavoro”.
L’impegno di Bortolotti sull’educazione non si ferma all’interno dell’azienda. Racconta di aver rilevato, mentre stava per chiudere, la scuola parrocchiale frequentata dai suoi nipotini. Ha subito introdotto la formazione e comunicazione per gli insegnanti, poi inglese, spagnolo, poi ancora il russo e la musica, gli sport, le palestre, l’equitazione ed infine la vela (“per educare al rapporto col mare”) e da imprenditore fa notare che tutto ciò costa alla scuola circa quattromila euro l’anno per bambino, mentre lo stato ne spende ottomila. In programma, un campus universitario in un’area industriale bloccata da decenni “così potremo formare le persone dai 4 ai 24 anni”.
Si ascolterebbe Bortolotti (e gli altri relatori) per ore, ma l’incontro deve chiudersi. È diffusa, tra il pubblico di giovani e non, la speranza di lavorare (o il rimpianto di non aver lavorato) per imprenditori così.
(Ant.C.)