È VERAMENTE POSITIVA LA REALTÀ? DAI POPOLI DELLA MESOPOTAMIA AL POPOLO DELLA BIBBIA

Press Meeting

L’incontro di stamattina alle ore 11.15 in Sala Neri GE, nell’incontro dal titolo “È veramente positiva la realtà? Dai popoli della Mesopotamia al popolo della Bibbia”, è tra quelli che non ti aspetti. Dal titolo poteva sembrare un incontro da specialisti della materia, invece è stato un duetto gradevolissimo (“uno slalom parallelo” lo ha definito Davide Perillo, direttore di “Tracce” che ha introdotto l’incontro) tra i due relatori, Giorgio Buccellati, professor emeritus of Ancient Near East and History all’University of California di Los Angeles e Ignacio Carbajosa Pérez, docente di Antico Testamento alla facoltà di Teologia dell’Università San Dámaso di Madrid. “La domanda è provocatoria: perché, se la realtà è positiva, siamo travolti dalle circostanze oscure?” così ha dato il via all’incontro Davide Perillo.
“Quando nell’Ottocento si è incominciato a conoscere le scoperte archeologiche e letterarie dell’antica Mesopotamia – ha avviato il discorso Carbajosa – e si sono viste delle somiglianze con il testo della Bibbia, subito qualcuno ha parlato di mancanza di originalità del testo ebraico. Invece, con l’allargarsi e l’approfondirsi delle conoscenze si sono constatate le profonde differenze tra le due concezioni della realtà”.
All’inizio dell’incontro i due relatori si sono alternati nel leggere versetti del poema della creazione mesopotamico e del Genesi: molte immagini si assomigliano, ma il pensiero che sta alla base dei due testi sacri è assai divergente. Buccellati fa notare che nel testo mesopotamico non esiste creazione, ma la realtà prende forma da un caos amorfo, trasformandosi fino all’apparizione del dio supremo che viene indicato con cinquanta nomi. “Non c’è atto creativo, ma trasformazioni. Non c’è un assoluto, ma la realtà è un sistema omeostatico (ha una stabilità in se stesso). Non c’è un inizio, ma un divenire. Non c’è il concetto di ‘evento assoluto’ cioè di un qualcosa che dà vita al tutto”.
Nella Bibbia, al contrario, – ha proseguito Carbajosa – “in principio Dio creò il cielo e la Terra”, dando indicazioni di tempo, di un inizio della storia e del fatto che non c’era niente prima dell’atto creativo. L’autore biblico esprime lo stupore davanti al reale che giorno dopo giorno appare dalla parola e dal gesto creativo di Dio, un gesto libero. “Anche il Sole e la Luna, che in altri popoli sono divinità, sono creature”. Il popolo d’Israele ha questa coscienza della creazione che chiaramente avverte come buona, diversamente dalla concezione mesopotamica che la vede neutra, indifferente. “Il pensiero, che la realtà è buona ed è opera di un Dio creatore, apre alla ricerca sul reale, allo studio, perché il creato è degno di essere conosciuto: è questa la base della ricerca scientifica che si è sviluppata nel Medioevo”.
“Ma nella realtà c’è il male – aggiunge Perillo per continuare il discorso – da dove viene?”. Nella concezione babilonese – risponde Buccellati – il male è il “rumore” che disturba il creato, provocato dall’eccessiva proliferazione di dei, che dà fastidio agli dei archetipi. “Il male non è responsabilità di nessuno: c’è e basta. Non c’è responsabilità, non c’è senso del dovere, è solo indifferenza”. Nella Bibbia invece il male si vede – ricorda Carbajosa -, viene sottolineato il peccato, soprattutto quello dei più grandi (Davide, Salomone). Da dove viene? Dio è buono e ha creato un universo buono, e allora? Il libro della Sapienza dà la spiegazione e il Genesi lo racconta al capitolo 3: Adamo e Eva sono creati liberi, liberi per poter amare Dio, ma usano male di questa libertà e peccano. Ma la misericordia di Dio, che perdona loro come il re Davide, toglie il peccato, non lascia l’ultima parola al male, ma lo redime.
Riprende la parola Buccellati: “Per il pensiero mesopotamico, il male fa parte della realtà, senza responsabilità di nessuno, e la realtà è prevedibile e per questo in quel mondo si sviluppa la divinazione con l’osservazione degli astri o in altri modi (per esempio l’epatoscopia). Non c’è un Dio vivente che interviene nella storia degli uomini, quindi anche il futuro è prevedibile nel suo svolgersi ciclico. Con Abramo invece inizia una nuova storia dell’umanità – è Carbajosa a parlare – quando Dio lo chiama a un compito: costituire un popolo cui Dio fa la promessa, fa conoscere la sua volontà e lo guida a un destino buono. “Così la storia è un percorso lineare che va verso un compimento”.
“Il contrasto tra la concezione mesopotamica e la concezione biblica della realtà è radicale – conclude Buccellati -. Per quest’ultima l’uomo è rapporto con l’Infinito, non un generico infinito, ma un Creatore con un volto che chiama ogni persona: ‘Magister adest et te vocat’”. Lo stupore di fronte alla realtà buona mostra anche la tenerezza di Dio che ci guida nella storia.

(A.B.)
Rimini, 21 agosto 2012

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