RISATE E COMMOZIONE IN VORREI ESSERE FIGLIO DI UN UOMO FELICE, IL MONOLOGO DI GIOELE DIX DEDICATO ALLA PATERNITÀ
Rimini, 21 agosto – «Ho accettato di venire qui anche se le condizioni non sono propriamente “teatrali”, perché sapevo che sareste stati un pubblico speciale. Chi viene qui al Meeting un po’ speciale lo è». Ha concluso così, con questo fuori programma, Gioele Dix il suo spettacolo Vorrei essere figlio di un uomo felice, andato in scena ieri sera presso l’Auditorium Intesa Sanpaolo B3 al Meeting per l’amicizia fra i popoli. Due ore di comicità, risate, momenti di riflessione toccante sull’avventura del crescere, seguendo le orme di un figlio speciale della storia della letteratura: Telemaco.
L’attore milanese è tornato al Meeting a tre anni dallo spettacolo Diversi come due gocce d’acqua, dedicato al suo caro e scomparso amico Renzo Marotta, grazie al quale è nato un rapporto con l’evento riminese e il popolo che lo vive. L’avvio ha scherzosamente spiazzato il pubblico, con la lettura di alcuni versi dell’Odissea in metrica greca antica: «La farò tutta in greco, non ve l’avevano detto?». È iniziata così una cavalcata fatta di letture, commenti, digressioni e qualche divertente fuori programma.
Con sapienza ed equilibrio, Dix ha amalgamato materiali letterari e musicali differenti, tutti legati dal filo della riflessione sul significato dell’essere padri e dell’essere figli: dalla canzone I borghesi di Giorgio Gaber, che ha aperto la serata, a letture di brani del narratore americano Paul Auster e del poeta greco Ghiannis Ritsos, il tutto tenendo come fil rouge, naturalmente, i passi salienti della Telemachia, la sezione composta dai primi quattro canti del poema omerico.
L’attore ha condotto il pubblico dentro al fascino universale di versi composti otto secoli fa, dischiudendone i tesori nascosti ed evidenziandone spunti, suggestioni e chiavi per leggere l’esperienza personale di ciascuno di noi (padri o figli), oltre che alcune dinamiche proprie del nostro presente collettivo. Il tutto facendo ridere e riflettere al tempo stesso, come i grandi attori sanno fare. Ci siamo così immedesimati nella storia di questo figlio cresciuto senza conoscere suo padre che, per diventare pienamente adulto, ha bisogno di scoprire chi è. E abbiamo potuto capire un po’ di più che cosa accade quando si diventa grandi.
All’inizio è Atena, la dea della sapienza, che spinge Telemaco a mettersi in viaggio e a cercare notizie di suo padre – l’unico a non essere tornato a casa dopo la guerra di Troia – presso i suoi ex compagni d’arme. Questo “figlio incompiuto” ha bisogno che qualcuno lo spinga a compiere i passi che da solo non trova il coraggio di fare. Le tappe di questo itinerario diventano occasione per riflettere su un ampio ventaglio di questioni: l’incontro con il vecchio Nestore, re di Pilo, è spunto per guardare all’evoluzione del rapporto tra generazioni; la visione della non più splendida Elena di Sparta (la cui straordinaria avvenenza era stata causa della guerra), per interrogarsi sul significato della bellezza, sulla sua persistenza oltre il tempo, sulla sua caducità e al tempo stesso capacità di conservarsi intatta da qualche parte in noi.
Nella vicenda di Telemaco Gioele Dix ha rispecchiato i propri ricordi d’infanzia, le memorie delle figure di suo padre e di suo nonno, così come la propria esperienza di genitore e il rapporto con i suoi figli. Particolarmente intensa, nel finale, è stata la narrazione dell’incontro, dopo vent’anni, tra Ulisse e Telemaco, che rivela come il figlio non sia ancora completamente diventato adulto; ma non importa, perché ha ritrovato qualcuno da guardare per diventare grande. «Ai padri a volte basta poco per diventare eroi memorabili», ha affermato Dix. Basta esserci, pur con tutti i limiti di un’umanità necessariamente non perfetta. Nacque il tuo nome da ciò che fissavi recita il titolo del Meeting di quest’anno. Vorrei essere figlio di un uomo felice ne ha offerto l’interpretazione profonda: essere figli non è questione anagrafica, ma una condizione, una posizione, di chi per diventare sé stesso ha bisogno di un rapporto.
(T.G.)
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