Dialogo sull’intelligenza artificiale

Press Meeting

Con Samir Suweis e Carmine Di Martino

Alle 15.30 nello spazio “What?” tra il padiglione C5 ed A5 si è svolto il settimo appuntamento del ciclo di incontri What’s Human About Technology, dedicato alla provocatoria tematica del difficile rapporto tra uomo e tecnologie. Al microfono il fisico Samir Suweis, Ricercatore all’Università di Padova e il filosofo Carmine Di Martino, Docente di Filosofia teoretica all’Università Statale di Milano. Argomento dell’incontro: l’intelligenza artificiale.

Suweis ha fin dal principio definito il concetto di intelligenza artificiale: “IA è una macchina che mima funzioni cognitive umane”. Poi ha proseguito: “Storicamente la comunità scientifica si pose un obiettivo, diciamo una lista dei desideri di alcune categorie di abilità che la tecnologia avrebbe dovuto imitare, tra cui ad esempio la capacità della macchina di interloquire con l’uomo, cosa che oggi con programmi come Siri non è più assurda”. Il fisico individua poi gli anni Ottanta come l’inizio di una new wave nel mondo dell’intelligenza artificiale: “Si tratta del connubio tra machine learning e big data” spiega il ricercatore padovano, ovvero lo studio di grandi banche dati tradotto successivamente in algoritmi che possano prevedere. Secondo Suweis è il caso di Google Translate dove non c’è una vera propria comprensione del linguaggio, ma una semplice analisi statistica di milioni e milioni di testi in lingua straniera per mezzo di potentissimi algoritmi che portano alla traduzione più probabile. Lo scienziato propone infine il suo punto di vista sulla differenza tra uomo e macchina citando Federico Faggin: “La consapevolezza è la differenza sostanziale e irriducibile tra un computer e un uomo”.

Di Martino poi apre il suo intervento spiegando ciò che contraddistingue la modalità di pensiero dell’uomo da quello delle macchine, una distinzione analizzata a diversi livelli. Il primo è il concetto di autocoscienza: “Un computer pensa? Per rispondere bisogna stabilire cosa significa pensare. Se pensare significa fare esperienza del significato allora difficilmente può essere attribuito ad una macchina”.

In secondo luogo il filosofo ha parlato del pensiero riflessivo ricorsivo: “Che cosa caratterizza il nostro pensiero quando noi diciamo autopensiero? Le scimmie, i cani pensano? Studi hanno dimostrato che le scimmie hanno capacità di sviluppare rappresentazioni cognitive ‘a bocce ferme’ come rappresentare situazioni, o fare inferenze causali. Noi, invece, siamo contraddistinti dall’autocoscienza che significa pensare, ma un pensiero autocosciente è tale se contiene un pensiero riflessivo ricorsivo, ovvero ‘So di sapere e di non sapere, so che in questo momento ho paura, so che so’. Solo in un pensiero riflessivo ricorsivo si può avere un adeguata valutazione delle opzioni, ciò che noi chiamiamo libero arbitrio.”

Di seguito Di Martino è passato al concetto di esperienza soggettiva: “Gli scienziati sono stati eccessivamente riduzionisti! Bisogna ridonare cittadinanza all’esperienza soggettiva. Il nostro cervello processa informazioni come lo farebbe una macchina? La risposta è no, perché l’autocoscienza ha carattere soggettivo e relazionale. Per fare una consapevolezza non basta un cervello, occorre un insieme di incontri e di relazioni in una comunità, perché un cervello in una vasca da bagno non diventerebbe mai autocosciente”.

Numerose e ponderate le domande del pubblico. “Cosa ci impedisce di pensare – una di quelle su cui Di Martino si è soffermato maggiormente – che in futuro si possa costruire una macchina che sia replica 1 ad 1 del cervello umano?” “Una macchina in base alle informazioni che ha non può sbagliare, non ha fiuto, non può ‘abdurre’, cioè sbagliare strada azzeccando il risultato – ha risposto il filosofo – oltre a ciò hai assunto una posizione riduzionista: poni già che la mente sia un prodotto del cervello e che ci resti solo da stabilire il come. Occorrerebbe essere un po’ più accorti, più critici, forse anche cauti, in forza della causalità quantistica e cominciare a pensare che ci sono anche una molteplicità di fattori culturali, relazionali, esperienziali. Io sarei più critico e direi: stiamo a vedere!”

Scarica