Dialogo col mondo, incontro fra persone: il lavoro di un ambasciatore nel XXI secolo
Rimini, 23 agosto 2021 – «I fatti di Tunisi hanno acceso i riflettori su una professione che spesso rimane sconosciuta al grande pubblico, eppure essenziale per costruire autentici rapporti di amicizia tra i popoli», esordisce Emmanuele Forlani, direttore Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli. Ecco il motivo dell’affondo proposto dal Meeting sul ruolo dell’ambasciatore nel XXI secolo.
Mauro Battocchi, ambasciatore d’Italia in Cile, osserva come tradizionalmente la diplomazia fosse limitata ai rapporti tra governi, mentre oggi, con la globalizzazione, questo lavoro si gioca su tutti i livelli in cui la società civile interagisce quotidianamente. «Siamo chiamati ad ascoltare e coordinare la domanda di italianità non solo dei nostri concittadini, ma anche di tutti gli stranieri che vivono il fascino o l’esigenza di relazionarsi con il nostro Paese». All’estero, infatti, c’è un desiderio e un bisogno di Italia incredibile. E conclude: «È il sogno di vivere all’italiana, all’insegna di bellezza, umanità e innovazione».
«In tal senso», osserva Laura Carpini, capo Unità per le politiche e la sicurezza dello spazio cibernetico del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, «il successo di una missione si misura proprio nella capacità dell’ambasciatore di comunicare l’immagine e l’identità del proprio Paese», ricordando però come in Italia questi incarichi spesso trovino poche donne in prima linea.
Lorenzo Fanara, ambasciatore d’Italia a Tunisi, ricordando la figura di Luca Attanasio, evidenzia come il concetto di missione abbia alla radice la vocazione ad un autentico servizio al proprio Paese. «Il coraggio di dire “io”, in questi contesti, si fonda sulla responsabilità che deriva da questi incarichi, e dal sacrificio che il loro sincero adempimento può comportare: serve avere visione». L’Italia non è una super potenza politica o economica, ma una super potenza culturale, è in questo il nostro soft power. «Su questo possiamo strutturare rapporti per l’amicizia tra i popoli. Ogni iniziativa concorre a creare un ponte di solidarietà culturale che farà del bene a tutta la diplomazia a venire».
Nicola Minasi, ambasciatore d’Italia a Sarajevo, porta all’attenzione, invece, l’urgenza di valorizzare appieno il profitto invisibile della diplomazia italiana all’estero, soprattutto sul fronte culturale. «Compito del campo missione è comunicare al meglio l’Italia e gli italiani nel Paese in cui sono ospiti: “Il coraggio di dire io” non per far emergere l’ego, ma per far conoscere chi siamo e la nostra straordinaria cultura». L’importanza di farsi delle domande e cercare le risposte senza scorciatoie, senza proiettare false sicurezze, creando con le risorse a disposizione relazioni che ci accreditino anche lì dove la situazione è più tesa.
Elena Sgarbi, console Generale di Italia ad Istambul, conclude osservando come si tratti di un lavoro che richiede una natura curiosa, necessaria ad imparare a conoscere il mondo e la cultura in cui ci si muove. Nessuno può agire da solo, ma si tratta di far sistema con tutte le istituzioni che partecipano al “sistema Italia”. «All’esterno incontriamo un profondo amore per l’Italia e per gli Italiani. La nostra capacità di essere creativi deve portarci a condividere il calore umano della nostra cultura».
(E.S.)