Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?

Press Meeting

Rimini, 21 agosto 2015 – Con un lungo e commosso applauso il popolo del Meeting ha salutato, al termine della sua relazione, padre Mauro Giuseppe Lepori, abate generale dell’ordine dei Cistercensi, l’auditorium B3 gremito all’inverosimile. Per spiegare il tema della XXXVI edizione – i versi della poesia di Luzi, la parola “mancanza” – Lepori ne ha colto una incessante provocazione. Non si può sfuggire alla mancanza, è come un “fiume lento e fangoso che scorre al mare senza accorgersene”. Il poeta è profeta e ci sospinge oltre noi stessi. Mancanza, cuore, pienezza: sono le parole del poeta che il Meeting ha voluto come programma. Per questa ragione – ha proseguito Lepori – il cuore non deve mentire ma riconoscere “di sentirsi pieno della sua mancanza”.
Come è possibile accorgersi di questa mancanza in cui langue il cuore? si chiede il relatore. C’è quel “tratto” un richiamo, un lampo nella notte, un volto che non dipende da noi, come una freccia che ad un tratto trafigge il cuore e lo ridesta. È il “che altro mi manca?” del giovane ricco del Vangelo e il Seguimi del Signore: “Ed ecco che quel giorno quel malessere vago si trova al cospetto di uno sguardo che lo porta ad esprimere, o forse semplicemente a tradire, tutto l’abisso della mancanza che riempie come domanda a Colui che solo può dare risposta alla sete del cuore. Non so se c’è nel Vangelo, e quindi in tutta la storia dell’umanità, un esempio più essenziale del senso religioso di un uomo espresso di fronte a Cristo. Tant’è vero che di nessun altro, Gesù, dice esplicitamente: fissò lo sguardo su di lui e lo amò”.
“Seguimi”, ha proseguito il religioso, “significa che quello che ti manca sono io, perché solo io ti manco”. Oggi, ha sottolineato padre Lepori, i carismi suscitati dallo Spirito sono quelli che permettono il riprodursi di questa esperienza di sete e di pienezza. Tuttavia vi è una grande tentazione a cui il demonio sottopone il cuore di Cristo: “Puoi perdonare e morire per l’uomo ma in fondo tu non manchi all’uomo…” . Come nell’episodio di Cafarnao: senza riempirsi di Lui la vita è vuota, senza senso, priva di felicità e allora andarono via. Ma a questa tentazione risponde Pietro stesso, cioè il cuore dell’uomo: “Signore come possiamo staccarci da te? Se ci manchi tu, ci manca la vita!” Pietro tradirà, rinnegherà, peccherà ma non potrà mai venir meno alla confessione di questo desiderio di pienezza. Questo sconfigge la tentazione suprema all’avvenimento cristiano.
“Mi manchi!”, ha osservato padre Lepori, è un ritornello drammatico che ritorna di continuo nella letteratura, nelle canzoni, nei film. Una grande ferita dei cuori umani, perché creati per compiersi nella relazione, nell’amicizia. Ma la scoperta più sensazionale è che in Cristo Dio ha rivelato e sta rivelando a tutta l’umanità che “l’uomo manca al Padre infinitamente di più di quanto il Padre possa mancare all’uomo”. Un completo rovesciamento della questione. “Colui che ci manca è Uno a cui manchiamo noi! È la grande rivelazione che Gesù ha condensato nella parabola del figlio prodigo: il figlio manca al padre più di quanto il padre manchi al figlio”. In questo si trova anche il significato della misericordia: “La misericordia è che noi manchiamo al Padre”, perché nel cuore di Dio per noi c’è sempre spazio. Anzi, rincara la dose il relatore, “manchiamo a Dio ben più di quanto lui manchi a noi”.
A questo punto nella relazione di Lepori emergono temi che sono cari a papa Francesco: “La missione di Cristo, la diffusione del Regno, è croce e resurrezione, perché partecipa all’ansia del Padre che cerca ciò che è perduto, ma anche alla letizia di festeggiarne il ritrovamento. Ma quando la missione parte dal lasciarci ritrovare noi stessi da Colui a cui manchiamo, è come se non ci fosse che la festa della risurrezione da diffondere, da testimoniare, da condividere con tutti”. Di qui la scoperta che anche l’ultimo dei perduti, anzi, “soprattutto l’ultimo dei perduti, ha nel cuore di Dio uno spazio infinito di attesa, di desiderio, una abisso di amore misericordioso che arde di abbracciare, baciare, chi è perduto”.
Il termine baciare non è usato casualmente. Gesù alla Samaritana ha detto che il padre cerca adoratori. Ma in latino, osserva Lepori, “adorare” ha l’etimologia della tensione alla bocca, ad os, cioè comporta anche l’idea del bacio. E in effetti l’adorazione cristiana è proprio “lo starci all’abbraccio e al bacio di un Dio a cui si ritorna”. Attenzione però. Non è una frase legata a un mondo spirituale sganciato dalla realtà di ogni giorno. Anzi, determina un preciso criterio di azione: “Che cultura nuova, che mondo nuovo, che soluzione diversa dei mille e tragici problemi del mondo d’oggi si diffonderebbero se imparassimo dall’abbraccio di Dio ad andare verso tutti, e accogliere tutti, con la coscienza e quindi la testimonianza che ogni persona umana sta mancando al Padre, all’abbraccio e al bacio di un Dio che comunica Se stesso come Amore, come Misericordia! Che rivoluzione in ogni lotta per la verità, la giustizia, la pace!”. Non si tratta di un attivismo, di un impegno tenace a cambiare se stessi, ma anzitutto di uno stare, di un vivere con Lui. È a questo che Gesù chiamava il giovane ricco dicendogli “Seguimi!”. “Non lo chiamava anzitutto a ‘cambiar vita’ – spiega padre Mauro – ma a vivere con Lui, perché è questo che cambia veramente la vita, la vita reale”.
Ecco perché la vita cristiana è sempre missione, “perché ciò che salva è vivere con Cristo, la comunione con Lui”. “E la nostra vita reale, la nostra vita umana, la nostra povera vita quotidiana, diventa il dramma esplicito, il mistero svelato, della comunione con Lui, in tutto, con tutti, sempre. Con Lui da seguire, con Lui che ci è dato e che ci manca, come se ogni passo fosse un respiro, un battito del cuore che rigenera la vita”.

(A.Cap., Ant.C., E.A.)

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