Rimini, venerdì 24 agosto 2018 – Alla MeshAREA TALK Intesa Sanpaolo B1 si parla stasera, alle ore 19.00, di sviluppo e internazionalizzazione dell’impresa con Marco Mora, managing partner, Delphi Global Business Solutions.
Da dove prende le mosse la scelta di andare fuori dall’Europa e di affrontare le difficoltà incontrate?
“Alla proposta che mi fecero di lavorare in Cina, in una ditta che si occupa di semiconduttori ho risposto inizialmente con superficialità fino a quando non ho messo a fuoco la possibilità di aiutare un Paese, anche dal punto di vista economico. Mi colpì che si potesse associare l’idea del lavoro con un’utilità sociale. Era marzo del 2000, Cina non era nel WTO e in Italia ancora non se ne parlava”.
Come questa realtà così diversa diventa una risorsa per crescere e imparare?
“La prima volta che arrivai all’aeroporto internazionale di Pudong, mi trovai davanti a qualcosa di totalmente inaspettato e grandioso. Si pensi che i collegamenti stradali erano e sono a quattro corsie. Durante il tragitto che mi portava verso la città mi accorsi che, ai lati della strada, c’erano persone che tagliavano l’erba con le forbici. Rimasi perplesso, ma mi lasciai interrogare da quanto vedevo, considerando che non poteva essere “stupidità”. Direi che mi ha aiutato prendere questa decisione: dare tutto il tempo necessario perché questa realtà diversa potesse spiegarsi, raccontarsi a me. Nel tempo ho capito molti aspetti. I cinesi hanno il desiderio di viaggiare, di vedere il mondo. Un nostro collaboratore cinese ha preso un’aspettativa per un anno per girare tutta la Cina. Quando è tornato gli abbiamo chiesto se fosse contento e la risposta che ci ha dato è stata di avere capito che per essere contento bisogna avere una ragione per fare le cose. Un dato nuovo per la sua esperienza. Per conoscere bisogna mettere in conto la fatica, l’impegno con la realtà stessa, altrimenti ti fermi all’impressione. Una volta, ad esempio, raggiungendo la zona della Montagna Gialla, nell’entroterra, ho visto che le case dei contadini non avevano pavimenti in cotto, ma di terra battuta. Mi fu chiaro in quel momento perché gli operai della nostra ditta, assunti appositamente dalle zone rurali per tenere puliti i cantieri, in realtà non avessero neppure l’idea di che cosa significhi tenere pulito un pavimento: mancava totalmente nella loro esperienza”.
Lavorare implica dei sacrifici. Non hai mai avuto la tentazione di tonare indietro?
“Vivere vuol dire muoversi sempre per un’affezione più grande. Non può esserci vero lavoro senza una forza ideale. Ci vuole la decisione di dare tempo alla realtà di spiegarsi, anche perché le parole amore e odio hanno in comune la diversità. Se con l’altro non c’è amore, prima o poi diventa odio”.
È possibile in questo momento che la Cina funzioni come area di ricollocamento del management medio? Cosa vuol dire lavorare con un capo cinese?
“La situazione oggi è molto diversa da quella dei decenni scorsi, quando la Cina usciva da un periodo buio: Deng Xiaoping aveva scelto il capitalismo come possibilità mantenere il sistema in Cina. Ha aperto le porte a chiunque volesse andare lì a portare conoscenza. Oggi la Cina è abbastanza indipendente perché ha in sé il mercato più grande del globo: un miliardo e oltre di abitanti è in grado di soddisfare la produzione del sistema. Avere un capo cinese è difficile, perché cambia idea facilmente, ma
anche questo è un dato che deriva dalla loro cultura: non considerano un valore la continuità”.
Che cosa ha visto cambiare nella cultura cinese in questi anni?
“La Cina è la più grossa capacità manifatturiera del mondo. Anche il 2008 della Cina è stato segnato dalla crisi: in otto mesi la produzione è diminuita dal cento al dieci per cento. La situazione è stata affrontata con una scelta di politica economica molto importante: lo Stato ha dato sussidi alla popolazione per l’acquisto degli elettrodomestici. Questo è quello che è cambiato: non aspettarsi la salvezza da fuori, ma cercarla in sè”.
(G. L.)