Dal profondo del tempo

Press Meeting

Seguendo l’interesse archeologico che da qualche anno è di casa al Meeting, in sala D3 è stata presentata la mostra “Dal profondo del tempo”, curata da Marilyn Kelly Buccellati, della California State University di Los Angeles oltre che direttore del progetto archeologico Mozan/Urkesh. “Perché dovremmo preoccuparci di un passato talmente antico e, per dirla col Meeting, periferico?”, si è chiesta la Kelly, dichiarando subito che “il passato può essere visto come una progressione di radici che affondano nel tempo per settantamila generazioni”, e che “il filo conduttore della mostra è la convergenza culturale della comunicazione e della comunità”.
È un filo conduttore capace di illuminare, con la sua riflessione su linguaggio e scrittura, anche i nostri giorni, in cui la comunicazione e la comunità umana si esprimono con i modi della globalizzazione e del networking. “La periferia è molto più vicina al centro di quanto si possa pensare – ha ribadito l’archeologa – e l’abisso che ci separa dal passato è per me diventato, grazie al lavoro con gli architetti ed i giovani collaboratori della mostra, un trampolino”.
David Lordkipanidze, direttore del Museo nazionale della Georgia e direttore degli scavi di Dmanisi, ad ottanta chilometri da Tbilisi, ha descritto il sito georgiano come una macchina del tempo, in grado di fornire informazioni sull’epoca dell’uscita del genere “homo” dall’Africa. Lo studioso ha dimostrato con immagini dei principali reperti che la colonizzazione extra-africana non può ascriversi né ad una aumentata capacità cerebrale né ad una maggiore efficacia degli utensili e degli strumenti primitivi. Impressionante poi l’immagine di un cranio privo di denti, sicuramente persi dall’uomo di Dmanisi quando era ancora in vita. Secondo Lordkipanidze “quest’uomo senza denti è stato tenuto in vita da qualcuno che si è preso cura di lui”, costituendo così “il primo esempio documentato di solidarietà umana della storia: la capacità di formare gruppi è una chance in più dell’evoluzione”.
Thomas Gamkrelidze, presidente onorario dell’Accademia georgiana delle scienze, Giorgio Buccellati professore emerito alla Ucla (Usa) e Paolo Matthiae, professore emerito all’Università di Roma, hanno portato ulteriori prove di come le cosiddette “periferie” siano state il centro della nostra civiltà. Gamkrelidze, partendo dalla terminologia agricola e dei mezzi di trasporto, ha documentato come la “patria protoindoeuropea sia da collocarsi in qualche punto della vasta area che va dai Balcani alla Mesopotamia settentrionale fino all’altipiano iranico”. Così vengono meno le opinioni tradizionali che collocavano l’origine gli antichi dialetti indoeuropei nell’Europa centro orientale. Non nel cuore del Vecchio continente, dunque, ma in quelle regioni che, prime, videro la nascita delle grandi città.
Matthiae e Buccellati hanno “scavato” in quell’area, in Siria. Il primo ha scoperto Ebla, città del bronzo antico, a 60 chilometri da Aleppo; l’altro, insieme alla moglie Marilyn, ha riportato alla luce Urkesh, città urrita del IV millennio. Due scoperte che hanno restituito alla “periferica” Siria la posizione di centralità che aveva nell’antichità. Risultati importanti, che “la mirabile fabrica del Meeting” ha permesso di divulgare. Matthiae ha messo in risalto il ruolo delle due città nella storia della civiltà, sottolineando che si sono sviluppate in contesti ambientali molto diversi dalle grandi città della fertile regione di Babilonia e della valle del Nilo. “Urkish ed Ebla – ha concluso l’archeologo – dimostrarono che la sfida contro i condizionamenti della natura era stata vinta dalle duttili capacità di adattamento degli uomini, per l’affermazione di un modello della città e dello stato in qualunque situazione ecologica”.
(A.C./D.B.)

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