Rimini, mercoledì 19 agosto – In tempi di pandemia ci siamo curati di meno. Non solo ci ha rimesso la nostra salute personale, ma ne hanno risentito anche il sistema sanitario e l’intera società. Se la gente non si cura, infatti, aumentano i problemi per tutti, dalla collettività nel suo complesso alle singole famiglie.
Oggi, però, il sistema salute del nostro Paese dice di essere all’altezza dei suoi compiti e si dichiara pronto a prendersi cura di noi, senza nascondere i problemi e gli aspetti critici che la pandemia ha messo in drammatica evidenza. Queste valutazioni e l’invito sono scaturiti dall’incontro dal titolo “Tempo di ripartire e tornare a curarsi: la salute non può aspettare”. Coordinati da Riccardo Zagaria, amministratore delegato DOC Generici Srl, sono intervenuti Filippo Anelli, Presidente FNOMCeO – Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri; Lucio Corsaro, direttore Senerale MEDI-PRAGMA Srl; Lorenzo Mantovani, direttore CESP – Centro di Ricerca Sanità Pubblica, Università Milano-Bicocca; Filomena Maggino, professore di Statistica Sociale all’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, consigliere del Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, presidente della Cabina di Regia “Benessere Italia” – Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Corsaro ha quantificato il fenomeno della rinuncia alle cure che si è verificato nel nostro Paese da febbraio a luglio di quest’anno. Dai suoi dati, risulta un drastico calo degli accessi agli ospedali e agli ambulatori dei medici di base e degli specialisti (pediatri, oculisti, dentisti, dermatologi …) per paura del Covid. Il 68% delle persone interpellate lo scorso giugno ha detto di non aver fatto alcuna visita in questo periodo nonostante il 48% ne avesse necessità: «Negli ospedali e negli ambulatori cardiologici, ad esempio, ci sono stati meno accessi, di conseguenza abbiamo avuto un’impennata dei decessi per infarto».
La gente ha avuto paura del contagio ed era convinta che le strutture sanitarie fossero luoghi “privilegiati” per contrarre il virus. La pandemia ha rivoluzionato le modalità dei rapporti medico-paziente: per il 74% si sono svolti per telefono, per il 60 attraverso i social, e per il 25 tramite email. Quanto alle vaccinazioni, solo il 62% ha detto che ricorrerà al vaccino anti Covid. Una percentuale bassa, se si pensa che per arrivare ad una immunità di gregge la percentuale dovrebbe essere del 75. La crisi, oltre ad evidenziare carenze e lacune, ha aggravato un aspetto allarmante: le persone che hanno rinunciato a curarsi perché non avevano i soldi necessari sono passate dal 7 al 12%. Per il futuro, Corsaro ha auspicato una maggiore collaborazione fra ospedale e strutture territoriali e un potenziamento della componente digitale.
«Il Covid ci ha trovati non preparatissimi», ha esordito Anelli, che ha parlato di «situazione drammatica e preoccupante, documentata dal 33% in meno delle visite cardiologiche e dal -53% di quelle pediatriche»; una situazione nella quale gli ospedali, per far fronte ad una emergenza imprevista, hanno dovuto ridurre l’attività ambulatoriale e gli interventi ordinari. «Inoltre», ha aggiunto, «si sono allargate le differenze degli indicatori di sopravvivenza fra le varie zone del Paese».
Un capitolo a parte, Anelli lo ha dedicato all’intervento dello Stato, avendo parole di apprezzamento per l’attività del governo. «Fino ad oggi», ha ricostruito il presidente della FNOM, «il sistema sanitario controllava esclusivamente la spesa, tagliando risorse per i farmaci e per il personale. Oggi questa pericolosa tendenza è stata invertita e non ci sono mai state tante risorse per la sanità come da otto mesi a questa parte. Adesso bisogna superare la discriminante sanitaria su base economica».
Secondo Mantovani, oggi c’è il rischio di regredire nell’affrontare alcune gravi patologie a forte impatto sanitario e sociale, come ad esempio gli ictus e le malattie cardiovascolari. Secondo le statistiche, la paura indotta dalla pandemia ha tenuto lontani da ambulatori e ospedali almeno centomila pazienti potenzialmente destinati ad un ictus. Se preso per tempo, un caso di ictus può essere curato con una spesa di 600 euro l’anno; diversamente il costo passa a 240mila euro ogni 100 pazienti. Poi ci sono le conseguenze destabilizzanti nell’organizzazione della semplice vita di una famiglia. Le previsioni di Mantovani sono state drastiche: «Se non avremo un modello sanitario di rete per curare i 15 milioni di pazienti che abbiamo e non aumenteremo le risorse ci troveremo ad avere più morti, più disabili e una bancarotta sociale ed economica».
Ad Anelli il compito di tradurre gli interventi in proposte operative che la professoressa Maggino dovrebbe portare alla Cabina di regia di “Benessere Italia”: organizzare percorsi Covid diversificati in ospedali e ambulatori per non ridurre le prestazioni tradizionali; potenziamento di una medicina territoriale ferma agli anni ‘70; una sburocratizzazione che conferisca più autonomia e maggiore responsabilità ai medici; garantire il diritto alla salute di tutti i cittadini e il loro accesso alle cure.
La Maggino ha assicurato che la sua Cabina accoglierà tutti i suggerimenti che sono emersi dalla tavola rotonda. Secondo la docente della “Sapienza”, l’epidemia ha evidenziato una fragilità pregressa del nostro sistema sanitario, che potrà essere superata soltanto rimettendo al centro delle decisioni il benessere dei cittadini, con un miglioramento della qualità della vita per tutti. Un benessere che, secondo la responsabile di “Benessere Italia”, non può riguardare solo la questione sanitaria, ma tutti gli aspetti del vivere, fino alle relazioni sociali e all’ambiente. «C’è bisogno di una prevenzione a tutto campo», ha concluso. «Occorre intervenire sugli stili di vita e affrontare queste situazioni complesse con una visione “reticolare”».
(D.B.)