Curare stupiti dalla vita

Press Meeting

Fausto Achilli, presidente di Medicina & Persona, ha condotto l’incontro di oggi in Sala D2 con Fausto Rovelli, Primario emerito dell’Ospedale Riguarda-Ca’ Granda di Milano, e Daniel Sulmasy, OFM MD PhD Sister of Charity in Ethics, Saint Vincent’s Hospital Manhattan.
Partendo dal titolo del Meeting, “molto provocatorio per chi come noi fa un lavoro che ha a che fare con l’uomo”, Achilli ho guardato all’esperienza del limite umano come qualcosa che costringe a ricominciare sempre. Le modalità di questo continuo nuovo inizio possono essere sorprese in uomini sinceramente impegnati con la realtà: di essi “stimiamo il tentativo umano, da qualunque parte questo prenda origine”.
Fausto Rovelli può essere considerato il padre della cardiologia italiana: è grazie al gruppo di ricerca da lui condotto che la trombolisi è diventata una possibilità terapeutica reale. Con l’ausilio di una serie di diapositive, Rovelli ha ripercorso la sua brillante carriera di medico, iniziata con la laurea nel luglio 1943 e il sogno di diventare medico condotto. Le circostanze e le persone incontrate l’hanno però portato su un’altra strada, fino alla creazione del GISSI, il Gruppo Italiano Studio della Sopravvivenza per Infarto. A suo parere ogni medico dovrebbe chiedersi le ragioni della scelta di questa professione: per quanto lo riguarda, Rovelli aspira a una medicina migliore, che serva veramente all’uomo e a chi ne ha più bisogno. Nello stesso tempo egli la rispetta e l’ha rispettata come servizio al popolo e alla società. Per questo Achilli ha poi commentato la sua relazione facendo notare la straordinaria coincidenza tra passione per l’umano e fatti della vita personale, coincidenza che pochi hanno la fortuna di poter raccontare.
Daniel Sulmasy, oltre che essere medico, è anche filosofo e frate francescano. La sua esposizione è cominciata con una frase di Ippocrate che esprime in altri termini il concetto contenuto nel titolo del Meeting: “la vita è breve, ma l’arte è lunga”. Se lo scopo dell’arte medica è guarire, come è possibile che la guarigione non possa mai essere raggiunta? Che senso avrebbe allora la medicina? Questo è stato il filo rosso del racconto di Sulmasy, che ha molto insistito sul significato di guarire come “ristabilire un rapporto corretto, rendere integro”. Non per niente gli antichi consideravano la malattia come un disturbo dei rapporti complessi di cui tutto ciò che esiste è fatto; che sono anzi l’essenza stessa della materia.
Attraverso il racconto del rapporto particolare con una sua paziente, Meg, morta dopo una lunga malattia, Sulmasy ha riconosciuto che mai ha guarito qualcuno nel vero senso della parola, né mai ci riuscirà. Secondo il criterio utilitaristico, la medicina è giustificata dal solo risultato, ed è quindi destinata a fallire sempre. Invece, per il cristiano, la medicina ha valore perché essa è di per sé un rapporto; il cristianesimo chiede qual è ora la qualità del rapporto con il paziente, indica l’infinito nel profondo del singolo uomo e suggerisce lo stupore, non la misura.

P.S.
Rimini, 23 agosto 2004