DUE ESPERTI DI NEUROSCIENZA ILLUSTRANO COME SI RAGIONA
Rimini, 22 agosto – Qual è il rapporto tra sonno e patologie della coscienza? Oggi al padiglione Arena Brain D3 ne hanno parlato Paolo Manganotti, direttore della Clinica Neurologica, Azienda Ospedaliero-Universitaria e Ospedale di Cattinara, Università di Trieste, e Matilde Leonardi, direttore UOC Neurologia, Salute Pubblica, Disabilità e Coma Research Centre, Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, introdotti da Mauro Ceroni, professore di Neurologia all’Università degli Studi di Pavia.
«Il sonno ha un’architettura ben chiara», ha spiegato Manganotti, «è importante studiarlo e definire gli altri stati non definibili sonno». Così ha mostrato un diagramma per spiegare alla platea i diversi livelli di coscienza (consciousness) e consapevolezza (awareness) se si paragona il sonno ad altri stati del cervello quali il coma, lo stato vegetativo o la coscienza ridotta. «Ci sono diversi metodi per captare i segnali del cervello», ha proseguito Manganotti: un esempio è la risonanza magnetica funzionale, che permette di individuare le zone attive del cervello al ricevimento di stimoli. In particolare, osservare l’attività cerebrale durante il sonno ha permesso di captare il calo di energia utilizzata.
Con Leonardi si è approfondito ulteriormente: «Che cos’è la coscienza?» ha chiesto. «Sicuramente è una scienza, ed è giusto che venga studiata come tale». Ha poi proseguito ponendo da esempio il caso di Terri Schiavo, impiegata statunitense finita in stato vegetativo persistente dopo aver subito danni cerebrali, morta dopo 15 anni di battaglie legali con le quali il marito ha ottenuto che le venissero tolti i supporti di cibo e idratazione. Il caso è stato al centro di molte polemiche e battaglie, coinvolgendo politici, gruppi di interesse e famosi movimenti a favore della vita e a sostegno dei disabili. La domanda che potrebbe sorgere è: c’è ancora una persona lì? Cioè quando l’attività del cervello è minima e qualsiasi funzione fisiologica deve essere supportata meccanicamente? «Il quesito così posto è sbagliato», ha affermato Leonardi. «La persona resta tale fino alla morte cerebrale. La vera domanda da porsi è: cosa dobbiamo fare, come società, a chi sta in stato vegetativo? Io come neurologa ritengo sia utile studiarli». Anche il dibattito sulla libertà del malato di scegliere l’eutanasia è, in tal senso, fuorviante, poiché se egli esprime questo desiderio non trova l’opposizione minima che potrebbe convincerlo a vivere. Importante anche il discorso economico: lo Stato sovvenziona le cure per i malati in stato vegetativo, ma se questi aprono gli occhi e passano allo stato di minima coscienza, la famiglia perde ogni supporto economico pur avendone ancora bisogno. «Non dovremmo definire il bisogno della famiglia in base alla diagnosi, ma in base al funzionamento», ha detto Leonardi.
Concludendo, siamo sicuri che, come società, stiamo trattando il tema nella maniera eticamente e scientificamente più corretta? Il nostro status di specie sviluppata ci permette di non basarci più su necessità naturali esclusivamente per lasciarci guidare da quelle economiche?
(D.L.)
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