Come reagiscono i cristiani alle persecuzioni? Nel reportage “Under Caesar’s sword” la prima, immediata risposta, resta la preghiera.
Alle 21 della seconda giornata di Meeting lo Spazio Muri B2 è affollato, tanto che le sedute non sono sufficienti e le persone arrivano portando con sé sgabelli presi in prestito da altri spazi. Viene proiettato il documentario a cura del Religious Freedom Institute (University of Notre Dame, USA). Roberto Fontolan, direttore del Centro Internazionale di Cl, introduce la visione del reportage: «È frutto di un lungo lavoro di ricerca: diciassette studiosi hanno analizzato come i cristiani reagiscono alle persecuzioni in venticinque paesi». È presente Kent Hill, executive director del Religious Freedom Institute, Washington D.C., tra i realizzatori dello studio, che, per favorire l’immedesimazione con i perseguitati, invita a immaginare «un mondo dove le parole di don Giussani o le canzoni di Chieffo non siano disponibili».
La pellicola di ventisei minuti si apre con le testimonianze di cristiani da tutto il mondo. Le loro voci e facce esprimono l’orrore e la gravità della persecuzione.
Parla il parroco di una piccola città, Izmit: «I cristiani possono affrontare minacce di morte». I cristiani turchi hanno elaborato delle strategie per vivere: le immagini mostrano inferriate alle finestre, schermi per le pietre, telecamere. Al contempo cercano di farsi conoscere dalla comunità: «Spieghiamo che non siamo stranieri, vogliamo essere il patrimonio di questo paese». Un vasto numero di profughi è arrivato in Turchia per sfuggire alla violenza in Iraq e Siria, inclusa quella dell’Isis. Se cristiani turchi riescono, nel pericolo, a continuare le celebrazioni, le famiglie in Iraq non hanno avuto scelta se non fuggire, convertirsi o essere uccisi.
In India, invece, centinaia di cristiani sono stati attaccati da estremisti indù. Un sacerdote locale è ripreso mentre ricorda: «La folla – forse circa 400 persone – è arrivata di mattina, attaccando la gente, distruggendo e bruciando le case. La violenza è continuata per tutto il giorno». È stato l’inizio della rivolta di Kandhamal, che ha causato 45 morti, 80 chiese distrutte, 18500 cristiani fuggiti. Nonostante la violenza sia incoraggiata dalle istituzioni, i cristiani rispondono costruendo alleanze con altre minoranze, cercando rimedio attraverso il sistema giuridico e partecipando agli impegni di pacificazione.
Colpisce che alle persecuzioni i cristiani rispondano immediatamente con la preghiera. Sono rari e isolati i casi in cui si sono armati pur a scopo difensivo. I sopravvissuti, inoltre, non sono scoraggiati. Raccontano il proprio dolore e resistono.
Al termine della proiezione c’è tempo per le domande: viene chiesto se il problema siano le religioni. Hill risponde: «Il problema non è l’assenza di religione, ma di una buona religione». Lo studioso sarà di nuovo presente nello spazio Muri alle 18,30 di martedì 22 agosto.