È stato un incontro animato, propositivo, quello delle 11.15 in Sala Neri Conai, che ha visto interloquire i soggetti del mondo imprenditoriale pubblico e privato assieme a Giuliano Poletti, ministro del Lavoro e delle Politiche sociali.
Moderato da Bernhard Scholz, presidente di Compagnia delle Opere, l’incontro è stato arricchito dai contributi e dalle sollecitazioni di Alessandro Bracci, amministratore delegato di Teddy Spa, di Andrea Zappia amministratore delegato di Sky Italia, del presidente di Ferrovie dello Stato Marcello Messori, e dei numeri uno di Obiettivo Lavoro, Alessandro Ramazza, e di Conai Roberto De Santis.
Sono di Scholz i primi spunti al dibattito. Il presidente CdO indica ciò che ritiene prioritario per poter rilanciare il lavoro (ci sono 350mila posti di lavoro non coperti): ridurre il corpus normativo, quindi meno leggi, un mondo del lavoro più efficace e nuove forme di collaborazione tra pubblico e privato.
L’intervento di De Santis delinea alcuni scenari di sviluppo correlati al settore dell’ambiente e dei rifiuti. Dopo aver illustrato la situazione attuale e le prospettive indicate dall’Unione europea per il 2020, indica tre macroaree sulle quali intervenire per avere ricadute positive sull’occupazione: industrializzazione della filiera, investimenti in ricerca e sviluppo e promozione di consumi “verdi”. Dall’aumento del riciclo e dalla diminuzione delle discariche (specie al Sud) si prevede una ricaduta di circa 60mila posti di lavoro.
Segue l’intervento di Alessandro Bracci, in rappresentanza della media impresa. Attivo nel settore dell’abbigliamento, Bracci riconduce l’attenzione dei presenti ai fondamenti valoriali su cui deve poggiare l’impegno dell’imprenditore e del lavoratore. “La base valoriale dell’azienda – dice l’ad di Teddy spa – è un fattore di competitività decisivo”. Bracci prosegue contestando un’erronea concezione di garanzia del posto di lavoro: “È il lavoratore stesso che deve garantirsi il suo posto, mentre l‘imprenditore deve imparare ad avere più fiducia con chi collabora con lui”.
Secondo Zappia, due sono le basi sulle quali i rapporti di lavoro devono fondarsi: il cambiamento e la responsabilità. “I cicli economici si susseguono e la ricchezza del mondo si sposta da una regione all’altra, essenziale è la capacità di vivere e accettare i cambiamenti”. Sky, azienda che ha investito molto in Italia, reclama un mercato del lavoro più elastico. Zappia porta l’esempio del call centre che ha aperto in Gran Bretagna dove gli studenti possono lavorare (e ne sono contenti) anche nelle ore serali, e non nelle canoniche otto ore contrattuali. Al ministro Poletti chiede che la politica dia la possibilità a chi è piccolo di potersi sviluppare con le proprie capacità imprenditoriali.
“Il tasso di disoccupazione in Italia è più alto che in Europa”, esordisce Messori e rincara la dose osservando che il tasso di inoccupazione è molto più alto del tasso di disoccupazione. Positivi, per lui, gli interventi del governo sui contratti di inserimento e sull’apprendistato, “ma se non c’è una crescita robusta il problema sociale dell’inoccupazione non si risolve”. Perché il paese possa tornare a crescere, Messori chiede radicali cambiamenti nel welfare e l’applicazione del Jobs Act, “almeno da quello che si sa dalle anticipazioni giornalistiche”. La sua ricetta per la crescita è che nel breve periodo occorre un robusto rilancio della domanda interna e nel medio-lungo un incremento degli investimenti nelle infrastrutture. Senza dimenticare che un altro ostacolo alla crescita dell’occupazione è la bassa produttività del nostro paese.
Un ulteriore punto dolente nel campo dell’occupazione sono le agenzie pubbliche del lavoro. Questo almeno è il pensiero di Ramazza. “Compito delle agenzie del lavoro è ricollocare i lavoratori, ma le agenzie pubbliche hanno un basso livello di efficienza, più alto in quelle private”. Per Ramazza, l’Italia “deve continuare a essere un Paese industriale e tornare a investire su cultura, turismo e agroalimentare. In questi settori potrebbero trovare lavoro anche categorie poco richieste come i laureati in facoltà umanistiche”. La conclusione è che in questi ambiti le potenzialità esistono, ma ben pochi se ne occupano, non esistono grandi operatori economici, non esiste un’industria turistica, non ci sono catene di alberghi né tour operator di grandi dimensioni.
A tirare le somme dell’incontro è il ministro, con un intervento che non risparmia qualche battuta, peraltro apprezzata dal pubblico. “In Italia abbiamo bisogno di costruire una cultura del lavoro. Questo Paese non ha ancora risolto il tema delle relazioni tra lavoro e impresa. C’è ancora troppa gente che pensa che l’impresa sia il luogo dove si sfrutta il lavoro e quindi le imprese vanno sopportate perché non se ne può fare a meno, ma chiuse in un recinto con paletti e filo spinato perché, se sono lasciate libere, fanno disastri. Occorre cambiare la testa”.
Il ministro prosegue nel suo ragionamento: “Sarà un passo avanti quando il primo maggio sarà la festa insieme di lavoratori e di imprese. L’impianto storico che vede il conflitto come relazione tipica tra lavoro e impresa non funziona più, perché oggi il lavoro è fatto di tanto sapere, tanta cultura, tanto impegno, tanta responsabilità”. Il ministro critica la mentalità oggi diffusa che punta troppo spesso alla rendita, anche a scapito della ricerca di nuove opportunità da cogliere. “In questa logica ogni cambiamento è una minaccia: meglio stare così che peggio”. Contesta anche il sistema delle sovvenzioni così come sono organizzate oggi, per le quali non si chiede nessun impegno da parte di chi le riceve: “Occorre cambiare la logica: prima uno si dia da fare e poi arriverà anche la sovvenzione”. Manca nella nostra società anche una giusta considerazione dell’ambizione, che non è un connotato negativo.
“Una società dinamica accetta il successo e anche l’insuccesso – dice sempre Poletti – che non deve risultare una condanna a vita”. Che cosa può fare il pubblico a questo proposito? “Promuovere la crescita eliminando le norme tortura, ad esempio i contratti di lavoro di oltre trecento pagine. Abbiamo approvato un decreto e una legge delega per affrontare tutta la materia”. Il ministro conclude: “Al nostro Paese servono un mercato del lavoro trasparente, un nuovo dinamismo degli uffici per l’impiego. E soprattutto serve fiducia, perché le potenzialità ci sono e vanno vissute con responsabilità”.
(A.B., F.R.)