Parte nuovo progetto della Comunità di Sant’Egidio. Grazie alla creazione di un corridoio umanitario con il Libano 300 profughi siriani accolti e inseriti, saranno 1.000 a fine anno.
Negli ultimi sette anni più di diecimila migranti hanno perso la vita nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. Più di tremila solo dall’inizio di quest’anno. Barconi e gommoni affondano e si rovesciano con il loro carico di umanità dolente e disperata. Conflitti, fame, persecuzioni religiose hanno fatto fuggire da Siria e Iraq milioni di abitanti. Vivono in campi profughi 1,5 milioni di uomini, donne e bambini in Libano, 2,5 milioni in Turchia e 800mila in Giordania. Le loro condizioni sono troppo spesso sotto la soglia di sopravvivenza. Sempre senza alcuna certezza o speranza di un futuro possibile. Nascono qui i viaggi disperati verso l’Europa e verso il nostro paese di chi non ha di fronte nessun’altra alternativa all’immigrazione clandestina.
È quanto emerso oggi durante il primo degli incontri del ciclo “I migranti, la sfida dell’inclusione” (Pad. A1), durante il quale il giornalista Giorgio Paolucci ha condotto un incontro/dialogo con Paolo Morozzo Della Rocca, membro della Comunità di Sant’Egidio e docente di diritto dell’immigrazione alla Luiss di Roma.
“Il primo obiettivo del nostro progetto è stato offrire una strada per arrivare in Italia in modo sicuro e legale, grazie ai visti umanitari e a successivi permessi di soggiorno e lavoro. Il corridoio umanitario è lo strumento che ci consente di farlo. Chi arriva trova una rete sociale, una comunità che vuole accogliere. Trovano scuola d’Italiano, rapporti con gli altri. È vera integrazione e inclusione sociale”, ha spiegato Morozzo Della Rocca.
“Una buona accoglienza è l’unica risposta concreta al fenomeno migrazione. Includere significa abbassare il timore sociale verso lo straniero. Con i corridoi umanitari si tutela la vita dei migranti e nello stesso tempo la sicurezza della nostra società – ha proseguito Morozzo Della Rocca – Certo i nostri numeri non rappresentano una risposta quantitativamente in grado di risolvere il problema. Però sono la dimostrazione di come ci si possa organizzare dal basso per rispondere a questo dramma. Accogliamo e inseriamo senza chiedere aiuto alle Istituzioni. È la provocazione di un gesto che dimostra come accogliere e includere sia giusto e possibile. Il nostro progetto ha subito interessato Conferenza Episcopale e istituzioni in Polonia ed è osservato con attenzione in Francia. È un modello replicabile e moltiplicabile. Ci auguriamo possa essere seguito anche da UE e stati nazionali”.