Nel corso della conferenza stampa i relatori hanno riassunto brevemente i temi da loro trattati nell’incontro di questa mattina dal titolo “L’Est perché l’Ovest ci sia”. Mons. Martin, Arcivescovo Coadiutore a Dublino, ha sottolineato l’originalità del processo di unione europea e del ruolo che questa ha avuto nel mantenere un lungo periodo di pace tra gli Stati del vecchio continente dopo la seconda guerra mondiale. Oggi è importante configurare la nuova struttura dell’Unione considerando su un piano di parità tutti gli Stati e prestando attenzione al legame tra Stati Uniti ed Europa; inoltre, accanto alla problematica dei rapporti est-ovest, bisogna considerare anche quella dei rapporti nord-sud, nell’ottica di una maggiore solidarietà e integrazione verso i Paesi più poveri. Umberto Vattani, ambasciatore permanente presso l’Unione Europea, ha puntato l’attenzione sul ruolo decisivo svolto dall’Italia in tutto il processo di integrazione europea, e ha indicato i tre grandi problemi che oggi sono sul tavolo: l’allargamento ad est, la nuova costituzione e il nuovo sistema di relazioni internazionali. La poetessa Ol’ga Sedakova ha infine evidenziato il contributo che l’Oriente può dare all’Occidente. Il dono più grande che l’Oriente può fare – ha detto – è proprio la complessità della Russia, dove elementi occidentali e orientali convivono ormai da lungo tempo. Ci sono poi i doni che la tradizione cristiana russa ha dato al mondo, a partire dalla letteratura e dall’arte iconografica.
È stato poi affrontato il tema del nazionalismo e di come questo possa essere “prevenuto”. Secondo la Sedakova la risposta sta in una salute spirituale e in una felicità, in presenza dei quali difficilmente il nazionalismo attecchisce: è quindi un problema di educazione, conclusione questa sulla quale si è detto d’accordo anche Vattani.
L’ambasciatore Vattani, rispondendo a una domanda, ha trattato il problema del multilinguismo all’interno dell’unione: nelle riunioni di più alto livello – ha sostenuto – sarà necessario che si continui a utilizzare la propria lingua madre, mentre a livello di funzionari bisognerà diffondere sempre più la conoscenza passiva delle lingue straniere. A questo proposito Robi Ronza ha messo in luce la necessità di differenziare il piano del parlato (dove va appunto incentivata la conoscenza passiva) da quello dello scritto (dove sarebbe invece auspicabile un maggiore impegno per la traduzione dei testi).
T.P.
Rimini, 27 agosto 2003