CIÒ CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO

Press Meeting

Atto finale della 32ma edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli, la presentazione alle 15.00, in un gremitissimo Auditorium B7 supportato dai maxischermi del palco D7 e della hall Sud, del libro di don Luigi Giussani, edito da Bur Rizzoli, Ciò che abbiamo di più caro. Il volume conclude il resoconto delle équipes – ovvero gli incontri che don Giussani teneva periodicamente con gli universitari di Comunione e Liberazione – raccogliendo quelle dell’88 e dell’89. “Il titolo del libro – introduce l’incontro Emilia Guarnieri, presidente del Meeting – è una frase tratta da Il racconto dell’Anticristo di Vladimir Solovëv, la risposta dello starets Giovanni alla domanda dell’imperatore: cosa avete di più caro nel cristianesimo? Per la Pasqua del 1988 gli universitari realizzarono un volantone con questa frase e nelle équipes di quell’anno lavorano sul quel testo. Don Giussani partiva sempre dall’esperienza. E il nostro movimento è sempre andato avanti così, non per parole d’ordine lanciate ma per la riflessione, per un giudizio sull’esperienza”.
“Il testo – prosegue la presidente del Meeting – inizia con un’équipe in cui don Giussani pone drammaticamente la questione dell’emergenza-uomo, ridotto a essere un fascio di reazioni il più delle volte in balìa della paura. Ciò che può ridare identità all’umano, prosegue il percorso che Giussani fa con gli universitari, è solo l’imbattersi in una realtà umana certa, non consolatoria, ma al contrario inquietante, la certezza di un amore concreto che entra drammaticamente nella vita per cambiarla, non diversamente da quello che anche in questi giorni abbiamo visto accadere”.
Testimoni di questa certezza i due amici di don Giussani chiamati a presentare il libro: Eugenio Borgna, psichiatra, primario emerito dell’ospedale Maggiore di Novara e partecipante anche a una delle équipes in questione, e don Aldo Trento, missionario della Fraternità San Carlo in Paraguay.
Borgna ha raccolto calorosissimi applausi, raccontando come la lettura del libro lo abbia profondamente coinvolto, attraverso “una mirabile presenza umana e sacerdotale”, nella quale contemplazione, preghiera e ascolto si intrecciano misteriosamente. “Come dice Paul Celan – ha detto Borgna – ci sono occhi che vanno al fondo delle cose, e questi sono gli occhi di don Giussani. Le parole sono creature viventi, sono persone, mai queste immagini mi sono sembrate così palpitanti di vita come ascoltando e leggendo don Giussani”.
Con queste parole, osserva Borgna, noi entriamo in relazione con l’altro. “Vi è una Epifania, ossia una celebrazione dell’istante, dove sta l’essenza del cristianesimo che colpisce ciascuno di noi al di là di quello che abbiamo o non abbiamo fatto; tutto è modificabile grazie alle nostre certezze, secondo come noi agiamo e viviamo la vita. Ogni certezza rimane tale solo se si fonda su altre certezze. Oggi, però, le certezze che la nostra società incoraggia sono assai futili e su di esse non si può fondare una intera esistenza. Tuttavia, Giussani ha fondato un vero e proprio metodo per poter coltivare le nostre speranze. La nostra speranza deve permetterci di coltivare l’eterno”.
La visione del dolore è, per il primario, inscindibile dalla speranza e dalla certezza. “Il dolore è ineliminabile dalla vita, solo quando essa è immersa negli orizzonti della fede e della speranza ed è accompagnata da questa immensa certezza, il dolore ritrova un senso. Il dolore scompare, ma il ricordo del dolore rimane radicato nel cuore e nella memoria. Ancora una volta le parole di don Giussani scendono nel nostro cuore con la loro scia di pensieri e di emozioni, e testimoniano la sua inenarrabile capacità di rivivere nel suo cuore il mare di dolore e di angoscia che ci sono nella vita, e che solo nell’immersione nell’infinito ritrovano i loro orizzonti di senso”.
Il male, per Borgna, è peggiore del dolore. “Il male, lama di umiliazione, ti separa muscolo da muscolo, osso da osso, ti penetra tra una cellula e l’altra. Vi è una permanenza del grande dolore; e se si ama una persona, si è aperti umanamente, la questione si moltiplica perché il dolore dell’altro è uguale al nostro. Non dobbiamo scandalizzarci della follia che è in noi, qualunque grado questa follia raggiunga. La coscienza di questa dislocazione fa sentire l’umanità ai nostri occhi così come era sentita dagli occhi di Cristo, che “si voltò ed ebbe compassione di loro, della folla”. Eppure non deve diventare scandalo che l’innocenza del mattino debba soffrire fatica, debba essere oggetto di un lavoro faticoso”.
“Non so se io sia riuscito a dire qualcosa di ciò che il mio cuore ha provato leggendo questo libro – ha concluso lo psichiatra – in ogni modo vorrei ringraziare questa assemblea, il cui linguaggio del silenzio arcano mi ha aiutato ad andare avanti nella mia relazione, che non avrei potuto nemmeno pensare senza il grande libro di don Giussani, e che è sgorgato nel ricordo incancellabile dell’estate del 1998, quando il destino mi ha fatto incontrare questo maestro incomparabile di fede e di speranza, di preghiera e di profezia, di rinascita interiore e di riscoperta delle fondazioni cristiane della vita”.
“Chi sei tu o Cristo che, a distanza di 22 anni, mi fai essere qui a dire che è vero quello che Giussani e Borgna testimoniano? – si chiede padre Aldo – Se sono qui è per testimoniare che non c’è nulla, nemmeno la follia, che possa impedire all’uomo di dire tu a Cristo. Solo adesso, dentro un lungo, faticoso, doloroso cammino ioposso dire che Lui, il mistero fatto carne in Cristo, è ciò che di più caro possiedo, perché tocco con mano adesso (ora, altrimenti non avrebbe più senso) che io, proprio io con la mia follia, sono ciò che è più caro per lui, per il mistero, per Cristo”.
“Da questa esperienza del mistero, da questo riconoscimento ‘io sono tu che mi fai’, da questa drammatica letizia è sbocciata la coscienza del mio io. A pagina 286 del libro, in una lezione tenuta a Corvara proprio dal professor Borgna, si legge: ‘Mi ha impressionato il fatto che siamo tutti folli… non facciamo fatica a capire che l’equilibrio assoluto non ce l’ha nessuno. Da questa mancanza di equilibrio, di proporzione scaturisce quella irrequietezza di cui si parlava, che può andare a finire nell’angoscia’. Questa dissociazione dell’io, questa follia appartiene a tutti perché frutto, sono parole di don Giussani, del peccato originale”.
“Cosa mi ha salvato da questa mia pazzia – prosegue il missionario – cosa ha ricostituito il mio io dissociato? Un incontro, non un incontro qualsiasi ma con qualcuno con cui ho sperimentato la stessa tenerezza di Gesù con Giovanni e Andrea, Zaccheo, l’adultera, la samaritana, Matteo. Un incontro mendicato, cercato disperatamente perché senza una libertà instancabile che grida, l’io non si muove: l’incontro con don Giussani, l’abbraccio di don Giussani. Mi ricordo il giorno, era il 25 marzo 1989. Rivedo gli occhi luminosi di quell’uomo mentre mi parlava di Cristo parlando lui con Cristo. Quell’abbraccio era l’abbraccio di Dio. Dal giorno di quell’abbraccio ho sperimentato la differenza tra l’essere figli e discepoli”.
“L’esperienza dell’abbraccio è una necessità, perché la vita non si impara: è ricevuta. È trasmessa da un padre – ha gridato padre Aldo – Mi ami tu? Un abbraccio che si trasforma in amicizia, compagnia, sostegno”. Il tema del Meeting 2012, annuncia Emilia Guarnieri ringraziando tutti, è «La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito». Ascoltando il professor Borgna e padre Aldo è come se fosse già cominciato ora.

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