Si può raccontare della propria figlia, affetta da spina bifida e morta a soli 10 anni, così: “La sua breve vita è stata la cosa più bella che mi sia mai accaduta”. Si può essere malati di sclerosi laterale amiotrofica (SLA) ed esclamare: “Di inguaribile ho solo la voglia di vivere, tutto il resto non mi interessa”. Lo hanno testimoniato Pierre Mertens, Presidente dell’Associazione Internazionale Spina Bifida e Idrocefalo, e Mario Melazzini, oncologo e Presidente dell’AISLA, commuovendo il numeroso pubblico presente all’incontro
Introducendo l’incontro Felice Achilli, Presidente dell’Associazione Medicina & Persona, ha chiesto ai due relatori cosa vuol dire, partendo dalla loro storia personale e dalla responsabilità professionale che hanno, confrontarsi con la domanda “Chi è l’uomo perché io lo curi?” e come il limite che contraddistingue ogni uomo può non essere l’ultima parola sulla vita.
“Quando nacque la mia prima figlia, Liesje – che appare sul maxischermo in una fotografia che la ritrae felice e piena di vita – il dottore disse che non era vitale e che presto sarebbe morta”. Mentre prosegue la testimonianza di Mertens, il sorriso di Liesje lascia il posto alle fotografie in bianco e nero di bambini “con gli occhi coperti, come quelle dei criminali sui giornali”. Mostrando le fotografie di bambini affetti da spina bifida – continua Mertens – “il dottore ci diede un’immagine della sua disabilità allo scopo di distruggere l’amore che noi genitori sentivamo per la nostra figlia appena nata”. Ma Mertens non guardò mai Liesje come determinata dalla malattia, e ora non rimpiange di non aver dato ascolto a quel medico, il cui suggerimento viene considerato come “prevenzione secondaria, ma in realtà non è prevenzione, è omicidio”. È diventato Presidente dell’Associazione Internazionale Spina Bifida proprio in virtù del rapporto con sua figlia, ed è estremamente convinto che “il diritto di vivere con tutte le proprie differenze è il primo e più essenziale diritto umano: il diritto alla vita e la proibizione di uccidere. Ecco perché sono anche contro l’eutanasia”.
“Il malato di SLA vive una situazione di totale abbandono, perché la scienza lo definisce inguaribile, ma ciò non significa che è incurabile”. Melazzini ha subito testimoniato di considersi rinato da quando, quattro anni fa, sono comparsi i primi sintomi della sua malattia, perché ha imparato ad accettare i propri limiti, a non smettere di vivere e a fare della propria sofferenza un’esperienza utile per sé e per gli altri. Ha poi sottolineato la necessità che venga umanizzato il sistema sanitario affinchè la cura non sia solo una terapia, ma “si apra ad un più esteso ed ampio prendersi cura della persona”. Citando un’espressione di Benedetto XVI, ha poi risposto alla domanda su “chi è l’uomo…”: è colui che porta dentro di sé “il bisogno di amare, di essere amato e di amare a sua volta”. Ha poi messo in guardia contro una compassione “priva della volontà di affrontare la sofferenza e di accompagnare chi soffre” (sono parole di Giovanni Paolo II) e contro l’accanimento terapeutico con cui si cerca di censurare la ricerca del senso della vita. “La verità – ha aggiunto – sta proprio qui: amare e farsi amare. L’amore per la vita è la benzina che mi permette di affrontare queste difficoltà e vi assicuro che sono parecchie”.
V.V.
Rimini, 23 agosto 2007