“Abbiamo scelto per la mostra una forma strana, che mescola azioni teatrali, filmati e immagini”. Con questa affermazione Jonah Lynch, sacerdote della Fraternità dei Missionari di S. Carlo Borromeo e principale curatore della esposizione, ha iniziato il suo intervento in Sala A2.
L’incontro, sullo stesso tema della rassegna proposta al Meeting (“C’è una voce nella mia vita. Il profeta Geremia”), ha avuto tre protagonisti: Camisasca, Lynch e Soffiantini.
L’intervento di Massimo Camisasca, Superiore Generale della Fraternità, impossibilitato a partecipare, perché presente a Forlì alle esequie di Claudio Chieffo, è stato letto da Paolo Sottopietra, Vicario Generale. “Il libro di Geremia, probabilmente scritto da discepoli – ha affermato Camisasca – è la testimonianza non solo della vita del profeta, ma del suo dramma. Per Geremia Dio è innanzitutto colui che ricorda, mentre l’uomo è colui che dimentica. Dio è colui che si ricorda di te, sempre”. Da una parte l’amore tenero e appassionato di Dio, dall’altra la dimenticanza del popolo; da una parte la fedeltà di Dio, dall’altra la vanità dell’uomo che si allontana da Lui (temi ripresi anche da Eliot ne “La terra desolata”). “Il messaggio finale del profeta – ha detto Camisasca – riecheggia quello di Javè: Colui che manda la sventura, o perlomeno la permette, è anche colui che fin dall’inizio si preoccupa del suo popolo. La forza della sua ira nasce dalla potenza del suo affetto”.
“Io che per mestiere ‘fingo’, sono stato invitato a un Meeting in cui la parola chiave è ‘verità’”. Dopo aver notato questo paradosso, Andrea Soffiantini, l’attore che nella mostra ha prestato la sua voce a Dio, ha raccontato l’impegnativo percorso del suo lavoro, che è consistito pure nel guidare i quattro giovani attori che, a turno, interpretano Geremia. La professione dell’attore provoca normalmente imbarazzo ed anche vergogna, per l’inadeguatezza rispetto a ciò che deve rappresentare, ma questa vergogna può diventare una risorsa: “L’attore deve dar voce a quello che deve fare, senza prescindere da se stesso, ma cercando se stesso”. Soffiantini ha aggiunto che, nel seguire i quattro ragazzi che interpretano Geremia, un punto di partenza fondamentale sono state le parole rivolte da Dio al profeta: “Non dire sono giovane”.
Jonah Lynch ha voluto una mostra che, innanzitutto, fosse un avvenimento, cioè qualcosa che viene da fuori, ci sorprende, ci sgomenta e ci costringe a cercare un senso. E’ una mostra che introduce alla storia di una vocazione, ma che insieme interpella il visitatore e lo chiama in causa: la vocazione, infatti, riguarda tutti gli uomini. Proprio perché la rassegna è intitolata “C’è una voce nella mia vita, abbiamo concluso la mostra con la voce di Giussani, attraverso cui tanti di noi, me compreso, sono diventati cristiani”.
V.C. – F.R.
Rimini, 21 agosto 2007