Ce la faremo come Paese a superare le sfide che oggi si chiamano competitività, innovazione, valorizzazione del nostro paese e delle sue risorse materiali ed umane nel mondo? La domanda è stata posta all’incontro “Le sfide del sistema Italia”, tenuto oggi in Sala Neri della Fiera e coordinato dal direttore del Quotidiano Nazionale Giancarlo Mazzuca, con il senatore a vita Giulio Andreotti seduto in prima fila a prendere diligentemente appunti.
Uno dei settori chiamati a un velocissimo svecchiamento è senza dubbio la pubblica amministrazione. Il ministro per le Riforme e l’innovazione nella pubblica amministrazione Luigi Nicolais però è ottimista. “Le nuove tecnologie implicano un cambiamento radicale dell’organizzazione del lavoro”, ha affermato il ministro. “Andiamo verso la condivisione a tutti i livelli delle banche dati, mirando all’interoperabilità, cioè al dialogo tra sistemi diversi, ad esempio tra ministeri, ognuno dei quali usa piattaforme differenti. Stiamo introducendo finalmente anche nel pubblico dei sistemi di premio delle eccellenze, anche attraverso salari differenziati. Un accordo con Poste italiane ci consentirà di usare gli uffici postali come terminali dei servizi informatici al Paese ed è prossima al varo la carta di identità elettronica, vera propria chiave di accesso a numerose banche dati”.
Sforzi positivi, ma il contesto rimane ampiamente problematico. Con l’oggettività dell’osservatore esterno, ci ha pensato Ronald P. Spogli, ambasciatore degli Stati Uniti in Italia (con un passato di ricercatore in economia e di brillante imprenditore), al suo esordio al Meeting, ad evidenziare i punti deboli del sistema. “Il rapporto politico tra i nostri due Paesi è solidissimo, non altrettanto le relazioni economiche”, ha esordito. “Ma perché, nonostante i nostri sforzi di promozione, gli imprenditori americani faticano ad investire in Italia?” È seguita una serie di dati quasi a senso unico. Crescita economica nell’ultimo decennio a rilento – mentre altri hanno ingranato la quinta -, ruolo tra i peggiori in classifica tra i paesi sviluppati in tema di pressione fiscale, burocrazia, innovazione, competitività. “Perché in questo paese che io amo moltissimo non si investe in innovazione?” è la domanda del diplomatico. Domanda cruciale, visto che “la capacità di innovare è ciò che distingue i paesi avanzati da quelli che puntano tutto sul basso costo della manodopera”. Spogli ha poi presentato il programma Partnership for Growth, lanciato dall’ambasciata Usa in Italia, con quattro pilastri: incentivare la commercializzazione della ricerca, favorire l’impiego dei capitali di rischio, difendere la proprietà intellettuale e creare nuovi modelli imprenditoriali per i giovani.
Sulla necessità di regole certe ha messo l’accento Fausto Marchionni, amministratore delegato di Fondiaria SAI, autodefinitosi “veterano del Meeting”. “Quando si affronta una sfida, per prima cosa occorre sapere chi ha di fronte, su quale terreno si gioca, di che munizioni si dispone”, ha esordito. “Il vero problema sono gli investimenti, che non si possono attirare senza una pianificazione almeno a medio termine. Ma proprio per questo motivo non è possibile cambiare le regole in corsa”. Esigenza tanto più sentita in un settore come l’assicurativo, business di lungo periodo. “Chi ci affida i risparmi di una vita ha il diritto di avere una ragionevole certezza ad esempio sulla tassazione a cui questi soldi saranno sottoposti”.
Nella competizione tra ottimisti e pessimisti si colloca a metà strada Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, che invece al Meeting viene per la prima volta. “Le ombre sono molte: la crescita ridotta, i costi delle materie prime, il regresso di settori tradizionalmente forti come il turismo, la scarsità di imprese di grandi dimensioni”. A fare da contrappeso, ci sono però elementi positivi, quali alcune isole di competitività, un processo di ristrutturazione industriale sostanzialmente completato, un capitale sociale fatto di imprenditoria diffusa. La sfida a questo punto è il cambio generazionale. Occorre puntare sulla ricerca di base o sull’innovazione continua? Castellucci propende per la seconda ipotesi. E la ricetta è puntare sul sistema formativo. “Se l’India e la Cina da alcuni anni sfornano un numero dieci volte maggiore di ingegneri rispetto al nostro Paese, ciò non può restare senza conseguenze. La formazione è importante, conclude, “anche perché ho la sensazione che la tensione all’imprenditorialità, ad esempio nei settori tecnici, che ci ha sempre caratterizzato ultimamente tenda a ridursi”.
Si mantiene su considerazioni di carattere più generale l’amministratore delegato SISAL Giorgio Sandi. “Prima di entrare nel merito delle singole scelte, dobbiamo avere il coraggio di fare una scelta di fondo”, è la sua tesi. “L’Italia deve rischiare di scegliere un sistema di valori condiviso con obiettivi credibili. Altrimenti rischiamo di fare come certi amici di quando avevo vent’anni, che in discoteca andavano dietro a tutte le ragazze ma regolarmente senza concludere nulla”. Invito finale: guardare al positivo. “I nostri media oscillano tra scandalismo e rassegnazione fatalistica: gli esempi positivi invece ci sono”. Come quello di un ricercatore italiano che, dopo aver girato il mondo per studiare i sistemi di voto elettorale elettronico, scopriva quasi casualmente che la Sisal in Italia processa milioni di schedine (per molti versi simili alle schede elettorali) nel giro di pochi minuti. Ma si sa, l’erba del vicino…
E.A.
Rimini, 23 agosto 2007