Rimini, mercoledì 22 agosto 2018 – In Arena Cammini B2, alle ore 19, oggi la tavola rotonda di pre-sentazione del percorso che ha portato alla mostra “I millenni per l’oggi. L’archeologia contro la guerra: Urkesh di ieri nella Siria di oggi”, visitabile nella Piazza B3. “È un legame, professionale e umano, con il passato e con l’oggi della Siria che ci porta qui. E il tentativo è di mostrare che cosa ci stia veramente a cuore”. Così Federico Buccellati, ricercatore alla Freie Universität Berlin introduce e modera gli interventi dell’equipe che sta lavorando agli scavi del sito di Tell Mozan. Intervengono nell’ordine Marilyn Kelly-Buccellati, professoressa emerita alla California State University (Los Ange-les) e visiting professor al Cotsen Institute of Archeology della UCLA; Hiba Qassar, post-coc all’Università di Firenze; Yasmine Mahmoud, dottoranda all’Università di Pavia; Stefania Ermidoro, post-doc all’Università di Venezia, direttrice di AVASA (Associazione per la Valorizzazione dell’Archeologia e della Storia Antica); Yara Moualla, dottoranda alla University of West Scotland e Giorgio Buccellati, professore emerito nei dipartimenti di Lingue e di Storia all’Università della California a Los Angeles (UCLA).
La professoressa Bucellati descrive “il senso di comunità” che, in venticinque anni di lavoro, si è ve-nuto a creare nel sito di Tell Mozan, antica Urkesh. “L’equipe è formata da persone che vengono dagli Stati Uniti, dall’Europa e dai villaggi che circondano la zona del sito: la condivisione del lavoro è stata totale, anche durante gli anni della guerra. Oggi si parla molto di public archeology, ma noi l’abbiamo fatta per primi – precisa la studiosa – grazie al progetto che lega la popolazione locale al nostro lavoro”.
Hiba Qassar illustra il primo esempio di legame con le popolazioni locali: la storia di una trentina di donne siriane coinvolte nell’atelier del Parco archeologico per la produzione di oggetti artigianali che riflettono la tradizione: “L’iniziativa è continuata anche durante gli anni della guerra, proprio grazie allo spirito di squadra che caratterizza l’iniziativa. Nel 2016 le attività sono state addirittura coordinate via telefono e oggi ancora una quindicina di giovani donne sono in attesa di produrre”.
Yasmine Mahmoud entra nel merito delle implicazioni culturali ed educative derivanti dal progetto: “Il rapporto di fiducia e di rispetto reciproco con e tra le persone che lavorano nel sito sono grandi e supero ogni distanza. È nato un progetto di gemellaggio e scambio tra scuole medie di Siria e Italia. I ragazzi siriani si sono appassionati alla musica vedendo che i loro compagni in Italia suonavano a scuola”. La giovane dottoranda siriana approfondisce “la novità” che accede nel suo popolo: “Al mio ritorno, dopo anni di guerra, ero sinceramente in difficoltà per come sarebbe avvenuto l’incontro con gli operai del cantiere. È stato molto semplice: un caloroso abbraccio di cinque minuiti. L’umanità che si respira nel sito è qualcosa di magico. Il futuro della Siria parte da qui.”
A Stefania Ermidoro il compito di presentare il progetto di conservazione e presentazione del sito archeologico: “Sembra strano, ma la conservazione degli scavi è l’attività più importante che deve avviarsi già all’inizio. Il bello del lavoro fatto deriva dall’ideazione di usare materiali low cost che possono essere reperiti in loco, anche in questi tempi così difficili. Ed è quello che gli operai del cantiere non si sono sottratti di fare. Tutto questo ci ha permesso di presentare i risultati di scavi ventennali, sopravvissuti alla distruzione che ha interessato al Siria. Abbiamo avuto visite di scuole, di insegnanti siriani che si preparano per entrare in classe e anche centinaia di turisti stranieri: inglesi, spagnoli e italiani”.
Yara Moualla torna a mettere in evidenza la forte valenza inclusiva del sito archeologico: “È un luogo dove si può distinguere un prima e un dopo, dove la gente si conosce e impara a rispettare le diffe-renze. Lì si incontrano arabi di Giordania, arabi di Damasco, curdi. Gli stessi Bucellati hanno un nome siriano. È la scoperta di un luogo più umano, dove è possibile vivere in amicizia e in pace”.
Il contributo di Giorgio Buccellati vuole “dare voce alle parole” del popolo siriano, ben espresse da Adel Mahmoud, poeta che accompagna i pannelli della mostra: “La Siria, che tutti conosciamo dalla notizie della stampa e dei media, ha una vitalità straordinaria alla quale noi abbiamo voluto contri-buire. L’archeologia, guardando al passato, può dare un senso di speranza, perché ognuno trova nelle proprie radici la volontà di continuare, di andare avanti”.