“Caro” farmaco: una sanità da curare.

Press Meeting

Rimini, 24 agosto 2017 – Quando si parla della sanità e dei suoi problemi bisogna tenere presenti le questioni di fondo e gli interventi sul contingente. Per questo la risposta ai dodici milioni di italiani che non si curano perché non hanno i soldi per pagarsi specialisti e farmaci non può prescindere dalla domanda che Dio fece a Caino, agli inizi del mondo: «Dov’è tuo fratello?». Su questo si sono trovati d’accordo tutti coloro che alle 15:00, in Sala Poste Italiane A4, hanno partecipato alla tavola rotonda su “Difficoltà di accesso alle cure e ai farmaci: quali risposte?”, organizzata in collaborazione con Fondazione Banco Farmaceutico onlus. Erano presenti: monsignor Carmine Arice, direttore dell’ufficio nazionale per la Pastorale della Salute della CEI; Maria Chiara Gadda, deputato del Pd al Parlamento Italiano, promotrice della legge 166/16 contro gli sprechi alimentari e farmaceutici; Salvatore Geraci, responsabile dell’area sanitaria della Caritas di Roma; Enrique Hausermann, presidente di Assogenerici. Ha coordinato gli interventi Sergio Daniotti, presidente della Fondazione Banco Farmaceutico.
I dati forniti dai relatori hanno tratteggiato un quadro drammatico della sanità italiana. Per la corruzione si perdono ogni anno sei miliardi di euro e altri otto se li portano via gli sprechi; il 41% di coloro che ricorrono a liberi professionisti dichiarano di aver pagato in nero per risparmiare l’Iva. La Caritas, da sola, ogni anno prende in carico 190mila indigenti attraverso i suoi 1700 centri di ascolto e riscontra, fra gli assistiti italiani, un aumento delle malattie mentali. L’ambulatorio Caritas presso la stazione Termini di Roma eroga oltre seimila prestazioni al mese. Il Paese impoverisce di anno in anno, fino al punto, che, come detto, 12 milioni di italiani non si curano per ragioni economiche. La risposta politica è inadeguata «visto che la riforma del titolo quinto della Costituzione ci ha dato 22 sistemi sanitari, tanti quanti sono le regioni», ha denunciato Hausermann, con monsignor Arice che si è augurato di non farsi prendere un attacco di peritonite in certe parti d’Italia.
Ma è proprio il sacerdote che per primo invita a non fermarsi a statistiche e sistemi più o meno imperfetti. «La prima crisi con cui abbiamo a che fare», ha affermato, «è una crisi dell’umano; di questo passo non avremo più nulla da trasmettere e neanche qualcuno a cui trasmettere». Il direttore della pastorale della salute ha puntato il dito contro la crisi demografica, i suicidi in aumento, «l’aggressione all’istituto della famiglia e alla sua peculiare identità che è scritta nella natura ma che viene continuamente negata. Hanno preparato un algoritmo per delineare i percorsi degli approcci clinici a certe malattie», ha detto, «ma sono percorsi costosi. Che cosa farà il medico di famiglia davanti ad un paziente che non ha i soldi per pagarseli? Occorre un umanesimo nuovo», ha concluso, «che per noi si fonda sull’uomo nuovo per eccellenza: Gesù Cristo».
Geraci ha descritto gli interventi e la filosofia operativa della Caritas, che non intende sostituirsi al sistema sanitario nazionale, ma chiede alla politica l’applicazione di leggi chiare e precise di riferimento. Come la legge 166, la cosiddetta legge contro gli sprechi, approvata dal Parlamento nel settembre del 2016, che concede agevolazioni e sgravi fiscali a quelle aziende che consegnano alle organizzazioni di carità e di volontariato le eccedenze di alimentari e farmaci. Ma è una legge attiva a metà, perché i decreti attuativi per i prodotti farmaceutici ancora non ci sono. L’onorevole Gadda e Davide Faraone, sottosegretario di stato al Ministero della salute (che era collegato telefonicamente), hanno dato tutte le assicurazioni possibili in tal senso, «per rendere più semplice la vita e le attività delle aziende e del terzo settore».
Intervenendo al riguardo, monsignor Arice ha chiesto che la politica favorisca anche una sussidiarietà reale, che valorizzi e rispetti le migliaia di opere assistenziali e sanitarie cristiane (solo gli ospedali sono 300), invece di considerarle delle semplici supplenti.
È del prelato l’invito finale alla concretezza. Ricordando l’insistenza di don Giussani sull’incarnazione cristiana e la caritativa, ha ammonito: «Mentre parliamo, curiamoci di quelli che abbiamo intorno, guardiamo all’uomo concreto, all’anziano che magari muore nell’appartamento vicino, senza che noi ce ne accorgiamo»
(D.B.)

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