Rimini, domenica 19 agosto – L’incontro, introdotto da Monica Poletto, Presidente Cdo Opere Sociali e con relatori Claudio Burgio, Presidente Associazione Kayros e Cappellano del Carcere Minorile “Beccaria” di Milano e Maria Mansi, Direttrice di Casa Sant’Anna di Rimini, si è aperto con un gustoso fuori programma. Una performance teatrale presentata da Andrea Carabelli e Giampiero Bartolini (Teatro degli Scanzonanti) dal titolo “Innovativi cioè vivi”: una carrellata in pillole di alcune storie di innovazioni (la penna “Biro”, dal nome dell’ingegnere che la ha inventata, poi Bic, dal nome di chi l’ha commercializzata, l’identificazione dei batteri, la lampadina elettrica, con lo scontro tra Edison – corrente continua – e Tesla – alternata): tutte originate dalla osservazione del reale che ha portato alla definizione di “innovazione” come la nascita di un bene a servizio di tutti.
Monica Poletto ha poi chiarito che, “se l’innovazione implica uno sguardo alla realtà, occorre cono-scere chi sono le nuove persone che la popolano”. Quindi ha dato la parola a Maria Mansi, che ha spiegato cos’è la Casa Sant’Anna di Rimini, che accoglie madri e bambini provenienti da situazioni di difficoltà per abusi, condizioni economiche e comunque da situazioni di disagio. Ciò viene affrontato attraverso il “Tavolo mamma-bambino”, mediante il quale si cerca di costruire una relazione di fidu-cia senza pretendere di cambiare l’altro o risolvere i suoi problemi dall’esterno, ma solo aiutandolo “a scoprire l’ineliminabile desiderio di felicità che anima chiunque”. Facendo sentire le mamme guardate le si aiutano a stimolare il loro sguardo verso la realtà, a riscoprire il loro valore e le loro at-titudini, così ricostruendo il loro rapporto con i figli, con i mariti o compagni (spesso autori degli abu-si), senza far loro mancare anche un aiuto nel disbrigo delle pratiche burocratiche con l’assistenza, per la quale Mansi ha pubblicamente ringraziato, della CDO.
Don Claudio Burgio ha presentato Daniel Zaccaro (milanese, 26 anni) e Libasse (dal Senegal, 22 anni) ed attraverso la loro esperienza ha descritto la propria. Il sacerdote ha premesso che possono identificarsi tre categorie di migranti: economici, rifugiati da guerre, ed esistenziali, che cercano semplicemente una vita diversa, a prescindere da problemi economici e di instabilità politica. Libasse è della terza categoria: in Senegal ha una famiglia normale, che aveva i mezzi per farlo studiare, ma lui, “malato di calcio”, marinava la scuola per giocare a pallone, finché un giorno, aiutato da un amico, è scappato in Mauritania e da lì in Spagna e poi in Italia (“sapevo che gli italiani sono generosi ed accoglienti”). L’impatto con la nostra società è stato duro: musulmano praticante, era colpito dai contenuti dei nostri programmi televisivi, assai disinibiti, ed in generale dalla rilassatezza dei nostri costumi. Naufragato il sogno di diventare un calciatore professionista, ha incontrato Kairos e lì Daniel, attraverso la cui amicizia ha imparato a capire il diverso e ad apprezzarlo come motivo di crescita personale. È tornato a scuola ed ha conseguito, quest’anno, la maturità (con una tesina sull’immigrazione).
Don Claudio ha sottolineato come, incontrando questi ragazzi, non possa negarsi che esistano delle forti differenze culturali, che sarebbe un errore cercare di appianare attraverso un processo di assi-milazione. La via, indubbiamente rischiosa, è quella di accogliere l’altro senza neppure pretendere di conoscerne il vero nome, considerando l’ospite un dono a prescindere dalla considerazione (reale) che potrebbe trattarsi di un nemico (due ragazzi hanno abbandonato Kairos per raggiungere l’Isis in Siria).
Libasse, molto amico di entrambi, non è riuscito a dire null’altro che uno gli ha donato il tappeto sul quale anche oggi prega cinque volte al giorno e che è morto in guerra: la commozione lo ha poi so-praffatto ed ha ripassato il microfono a Don Claudio, che ha interrogato Daniel. Questi ha spiegato che, per la sua esperienza, “la paura dell’altro, del diverso, non è altro che il riflesso di una paura di se stessi”, della propria inadeguatezza a stare di fronte alle sfide che immancabilmente il diverso propone. Ma ha anche testimoniato che vincere la paura ed aprirsi al confronto, alla genuina voglia di conoscere l’altro, è determinante per la crescita personale, anche sotto il profilo della fede. Ha infatti rimarcato che le sue conversazioni con Libasse in tema di fede, nonostante quest’ultimo sia musulmano e lui cattolico, gli hanno consentito di ripensare e rinnovare anche la sua posizione personale verso il Mistero.
La sintesi è stata di Monica Poletto: “Vivere la società è essere aperti ad incontrare e capire l’altro” e ciò è l’essenza dell’innovazione.
(C.C.- S.M.)