Calcio, uno sport che integra

Press Meeting

Rimini, martedì 21 agosto 2018 – “Lo sport ha il potere di cambiare il mondo, unire le persone, è più forte dei governi, può creare speranza dove prima c’era solo disperazione”. Non è un opinione, ma una testimonianza. Sono parole di Nelson Mandela. Un uomo che, grazie anche allo sport, ha riunificato un paese, sconfitto apartheid e razzismo. E non è per nulla scontato che il direttore generale delle Federazione Italiana Gioco Calcio (FIGC), Michele Uva, apra con questa citazione un incontro dedicato al gioco più bello e diffuso del mondo. Ma, come ha evidenziato Roberto Fontalan, direttore del Centro Internazionale di Comunione e Liberazione, aprendo l’incontro pomeridiano “Integrazione il fattore calcio” (Arena Cammini B2), la FIGC non è solo un mondiale di Russia mancato o i top player di serie A.

E i numeri presentati da Uva presentano un panorama di cui la parte “dorata” del pallone è solo un piccola fetta: “La federazione ha un milione mezzo di iscritti, 13mila società e 70mila squadre. Lungo lo stivale in un anno un arbitro fischia l’inizio di una partita ogni 58 secondi. E una disciplina così diffusa si confronta ogni giorno con la realtà di una società in costante cambiamento, anche e soprattutto nella sua composizione etnica e di origine geografica. Nel nostro paese su dieci milioni di individui under 16, il 10% è figlio di genitori stranieri o è arrivato dall’estero. Insieme alla scuola è proprio lo sport: quel milione nell’80% dei casi fa sport dilettantistico o agonistico”.

“La UEFA – ha continuato Uva – ha stabilito dei paletti giustamente molto rigidi per il tesseramento di giovani nelle federazioni nazionali. Obiettivo è contrastare un mercato dei sogni per cui si portavano in Europa ragazzini di altri continenti per farli diventare campioni e li si abbandonava nel momento in cui mostravano i loro limiti di crescita tecnica – ha spiegato – ma di fronte alla realtà di una società sempre più multi etnica abbiamo chiesto e ottenute norme diverse. Risultato: in due anni siamo arrivati a 60mila tesserati under 18 stranieri. È come se la mia città d’origine, Matera, fosse abitata solo da giovani appassionati di calcio di altri paesi”. Del resto, ha ricordato il relatore, la composizione del team francese campione del mondo ci dice quale sia oggi la realtà di integrazione offerta dal calcio: nella rosa dei 23 “Blues” solo due sono nati in Francia da genitori francesi. Gli altri hanno origine e famiglie di tutt’altra provenienza.

E c’è un programma, un’attività costante che a Uva sta molto a cuore e sui cui la FIGC sta investendo impegno e risorse. Il calcio è entrato nei centri di accoglienza per adolescenti migranti e senza famiglia. La federazione mette a disposizione istruttori, allenatori, dotazione tecniche e ha inserito nel percorso educativo di questi ragazzi anche il calcio. Non si tratta, però, di un “riserva indiana”. Le squadre dei centri partecipano a tornei, collaborano con le società calcistiche del territorio e compongono formazioni miste insieme ai loro coetanei italiani. Come recita il titolo dell’incontro il calcio è anche fattore d’integrazione. Soprattutto, come diceva Mandela: “Unisce le persone e può creare speranza dove prima c’era solo disperazione”.

(C.B.)

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