“Questa sera presenteremo un testo molto conosciuto nel movimento di Cl negli anni Ottanta e su cui molti di noi hanno lavorato a fondo. Un testo che individua esattamente il tema di questo Meeting e rimette al centro della esperienza l’io umano”, così Camillo Fornasieri, direttore del centro culturale di Milano, ha introdotto il primo libro “Il potere dei senza potere” di Vaclav Havel nell’ambito di Invito alla lettura al Caffè letterario spazio A3 alle 19.00. Hanno partecipato alla presentazione Marta Cartabia, giudice della Corte Costituzionale e Giovanna Parravicini della fondazione Russia cristiana. Parravicini ha raccontato che nel 1974 Bukovskij, lo scrittore russo, scriveva ai dirigenti di Solidarnosc: “Noi siamo tutti un po’ parenti, a prescindere dall’età e dalla nazionalità… quello che noi siamo riusciti a fare in un quarto di secolo di sforzi disperati è stato testimoniare che anche all’interno della realtà sovietica è possibile conseguire una vittoria morale e rimanere uomini. La prima vittoria è certamente su se stessi, perché sono profondamente convinto che abbiamo sempre la libertà di scelta, anche in prigione, e non ci sono giustificazioni se non ne facciamo uso”.
Questa riflessione mostra la grande consonanza di pensiero che vi era fra i dissidenti dell’Est europeo. “Il frutto di questa resistenza morale – prosegue Parravicini – è che anche in Russia oggi sta avvenendo il risveglio del popolo di fronte alle menzogne del potere. La gente comincia a chiedersi chi lo farà se non lo faccio io?” È la stessa posizione umana che Havel descrive nel suo libro.
Marta Cartabia ha letto il testo di Havel come un punto di vista universale che riguarda il rapporto dell’uomo con il potere. Il grande drammaturgo legge il rapporto che passa fra il proprio io e il potere, di qualunque natura esso sia. “Il potere – ha continuato la giurista – noi siamo abituati a pensarlo come il dittatore classico, in realtà esso non è esterno a noi ma spesso noi siamo complici dello stesso potere di cui siamo vittime. Infatti Havel parla di autototalitarismo sociale, che vuole coinvolgere ogni uomo nella struttura di potere”. Questo diventa possibile – ha proseguito il giudice – perché l’uomo è privato della sua identità profonda ed amalgamato nella massa. Si tratta di un uomo demoralizzato e su questa demoralizzazione il potere si perpetua e si fonda. La strada per comprendere questo testo non è contrapporre un sistema all’altro (ad esempio quello sovietico a quello liberale), ma capire che in ogni situazione l’io umano può vivere diversamente: l’esempio dell’ortolano che toglie il cartello imposto dal regime accettando il rischio di avere delle grane dal potere, permette a questi di uscire dalla vita come menzogna e cominciare il tentativo di vita nella verità. “Finché l’apparenza non viene messa a confronto con la realtà, non sembra un apparenza” dirà Havel. Qui si ritrova la stessa idea – continua la Cartabia – che è alla base dell’ultima enciclica di papa Francesco. “Il buio non si vince parlando della luce, ma accendendo una luce e non si può mai sapere quando un gesto piccolissimo e banale come una palla di neve possa trasformarsi in una valanga”. C’è un irriducibilità dell’uomo che non è solo il prodotto del mondo esterno, ma ha un bisogno elementare di essere se stesso. C’è un ancoraggio all’essere in ogni uomo. “Un non credente come Havel – ha concluso la relatrice – ci ha testimoniato cos’è un uomo. Egli crede nella possibilità e nel primato della rivoluzione esistenziale, che non si rinchiude nel privato, ma che arriva fino alle conseguenze politiche del proprio gesto”.
Fornasieri ha proseguito la presentazione del secondo libro “Non dimentichiamoci di Dio. Libertà di fedi, di culture e politica” del cardinale Angelo Scola accompagnato da Tobias Hoffman, docente di filosofia medievale alla Catholic University of America di Washington e Silvio Ferrari, docente di Diritto canonico all’Università di Milano. Introducendo il libro il moderatore ha ricordato che esso nasce nel 2013 in seguito al discorso tenuto dal cardinale per la festa di Sant’Ambrogio. Il libro traccia una prospettiva per la nostra vita civile e sociale partendo dall’Editto di Milano in cui fu riconosciuta la libertà religiosa a tutte le fedi, una posizione da comprendere a fondo perché sta diventando determinante nelle nostre società multietniche.
Tobia Hoffmann ha scorto nel libro un fil rouge che domina dall’inizio alla fine che è l’idea di bene comune. Lo stato ha bisogno del contributo delle forze religiose e non deve neutralizzare le mondovisioni, bensì offrire ad esse spazi per la costruzione del bene comune. Occorre una sana laicità che non disprezzi chi è portatore di visioni diverse ma che apra a tutti i soggetti lo spazio pubblico perché tutti possano testimoniare la propria identità agli altri. Il relatore ha riportato il pensiero dello storico Étienne Gilson il quale sosteneva che lo stato liberale ha bisogno di cittadini morali altrimenti lo stato stesso si sfascia perché dominerebbe la corruzione e l’individualismo. Infine il filosofo medievale ha ricordato che la libertà religiosa non sempre viene rispettata come nel caso del finanziamento delle assicurazioni sanitarie in America: infatti molti datori di lavoro sono costretti a finanziare un sistema sanitario che eroga pillole abortive e favorisce la sterilizzazione, benché molti siano contrari in coscienza.
Silvio Ferrari ha esordito dicendo: “Se chiedessi ai miei studenti dell’Università cosa pensano della libertà religiosa nel mondo, mi risponderebbero che in Italia non ci sono problemi mentre in altre parti sicuramente ce ne sono”. In realtà ha proseguito il professore, il problema della libertà religiosa è più complesso, perché con essa non si fanno solo degli atti di culto ma si costruisce un progetto di vita. La libertà religiosa oggi deve essere intesa come possibilità di costruire uno spazio pubblico plurale e inclusivo dove le diverse identità possano confrontarsi pacificamente.
(A.S.)