Dopo la “Vita di Bach”, scritta nel 1985 e divenuta imprescindibile testo di riferimento nel campo degli studi musicologici, sta per uscire, edita da Rizzoli, la monumentale biografia di Beethoven a cura di Piero Buscaroli. È l’opera di un autentico protagonista della vita culturale italiana – hanno sottolineato nei loro interventi introduttivi Camillo Fornasieri e Davide Rondoni – frutto di un lavoro imponente durato quattro anni; è un’opera che ricorda come parlare di coloro che definiamo geni, seguire le tracce della loro vocazione alla felicità, significa essere colpiti dalla grandezza. Musicologo e docente di fama, ma anche inviato internazionale che divise per molti anni la sua vita tra guerre e musiche, nonché pungente polemista che Montanelli volle nel 1976 a “Il Giornale” e autore di vari libri di storia politica e d’arte, Buscaroli si è definito autore dedito al revisionismo storico applicato alle arti attraverso lo strumento della biografia.
Fino a che punto – gli ha chiesto Davide Rondoni – si può considerare corrispondente alla verità, l’immagine che ci è stata consegnata di Beethoven come campione del giacobinismo?
“Una falsità, dovuta anche al fatto che nessuno purtroppo legge più le fonti originali per la biografia, come le oltre 11.000 pagine dei suoi ‘Quaderni di conversazione’. Così ad esempio, sembra che sia diventato inesistente il Beethoven dei ‘Canti patriottici’ o il Beethoven nazionale tedesco”. Un esempio clamoroso di quest’opera definita di nascondimento è stato illustrato dal giornalista Alberto Mattioli, critico musicale del “Giorno”, in merito a “Fidelio”, l’unica opera lirica composta da Beethoven, da sempre conosciuta come la storia di un prigioniero che langue in un carcere politico. È una storia vera, ha posto in evidenza il giornalista, avvenuta durante il “Terrore”. Nella “pièce” originale da cui fu tratta, il sanguinario che vuole che sia ucciso Florestano è Robespierre, che fa eseguire il delitto in carcere ad opera di uno dei suoi più fanatici seguaci, Jean-Baptiste Carrier. Fu la censura austriaca, per non suscitare l’ostilità dei francesi, prossimi a invadere Vienna, che collocò l’azione nella Spagna dell’Inquisizione.
“Da due secoli nessuno ha il coraggio di rappresentare ‘Fidelio’ come un’opera ‘contro’ la rivoluzione” – ha rimarcato Buscaroli. – La cosa sconvolgente è che ho cercato invano di ottenere, anche da importanti teatri a partire dalla “Scala”, una messa in scena conforme alle intenzioni dell’autore, e non ci sono riuscito”.
Infine è stato chiesto all’autore di indicare, anche alla luce di quanto emerso sulla personalità del musicista, fino a che punto la natura di Beethoven si possa considerare quella di una persona “felice”, essendo anche afflitto dalla sordità.
“Beethoven era un uomo felice, perché è riuscito da un certo punto in poi a dividere la sordità-malattia dalla sordità-destino. Si è reso conto che la sordità gli dava delle armi in più per la conoscenza dell’armonia. Era come un lago perfetto di armonia e di purezza, mai distratto dalle voci, dai rumori esterni . Io vivo – scriveva – nel mondo dello spirito”.
M.T.
Rimini, 25 Agosto 2003